WONDER TRIO: 3 libri per ridere coi disegni… da grandi
Attenzione: questo post contiene immagini sconvenienti e parole come ‘tette’ e ‘culi’ e ride di temi totalmente inopportuni.
Per sapere cos’è il wonder trio, recuperate il primo articolo della rubrica.
Chiariamo subito: non c’è un unico modo di ridere. E non parlo solo di variazioni di vocali o del fatto che c’è il rischio di finire a prendere il tè sul soffitto se si esagera. L’umorismo è una bestiaccia capace di renderci piacevolmente lieti tanto quanto di farci riflettere, è buono e cattivo, è audace e spregevole, può essere gratuito ma capita anche che costi molto caro. Quanto può pesare l’umorismo disegnato ce lo hanno insegnato tremendi fatti di cronaca (si pensi all’attentato alla redazione del giornale satirico francese “Charlie Hebdo” nel 2015); quanto cercare in un libro il tempo per ridere sia una cosa assolutamente seria lo possiamo per fortuna verificare anche con leggerezza durante le nostre giornate. Questo wonder trio si inserisce, senza pretese, nel pentagramma delle vostre risate sinfoniche per aggiungervi nuovi colori: c’è un perfido “ihihih…”, uno sciocco “ahahah…”, un voluttuoso “uhuhuh…”. Dimenticavo! Questo wonder trio ride di un paio di temi leggeri leggeri, con cui sono certa abbiate tutti un buonissimo ed equilibrato rapporto: la morte e il sesso. Sbaglio?
#1
Tutto è iniziato con il web ed è finito con una testa di c* disegnata apposta per me sul frontespizio del suo libro: parlo di Joan Cornellà (ovvero Renato Valdivieso, Barcellona) e di “Zonzo”, la sua raccolta di strisce politicamente scorrette e autoprodotte, presentata a Lucca Comics nel 2016. Difficile, in effetti, trovare un editore che si accolli la pubblicazione di corpi spappolati e derisi, siparietti sessualmente surreali, e così via. Sono immagini violente, irrispettose, che fanno ridere ma in quel modo cattivo che ci fa sentire un po’ delle brutte persone e al quale, dobbiamo ammetterlo, non siamo mai del tutto immuni. Per quanto l’autore si dichiari lontano dal voler fare una mirata satira sociale, quella assurdità, che invece tanto lo attrae come meccanismo umoristico esagerato per natura, è coreografata con una clinica precisione per colpire ed esasperare molte delle debolezze umane più attuali. I personaggi di plastica delle historietas mutas di Cornellà (senza parole appunto, forse anche per questo diventate così velocemente virali) diventano maschere di un palco che sta a metà tra il trip da incubo (in cui una cosa degenera in un’altra cosa che a sua volta degenera in un’altra cosa ancora…) e i round di Celebrity Deathmatch, il programma cult della Mtv anni ‘90 con i wrestler di plastilina. È tutto così palesemente artificiale che possiamo ridere senza sentirci troppo colpevoli. Forse.
#2
Sembra un po’ più leggero, pur nella sua cinica rassegnazione, l’atteggiamento di Avery Monsen e Jory John nel loro piccolo e letteralmente lapidario “Tutti i miei amici sono morti” (uscito per Chronicle Books nel 2010 e da noi edito da Baldini&Castoldi nel 2014). Dico ‘sembra’ perché, tutto sommato, se facilmente mi rifugio nell’impossibilità di immedesimazione nelle maschere del teatro di gomma degli orrori di Cornellà, per quel dinosauro in copertina invece mi viene da provare un’infida ma irresistibile simpatia-empatia. Insomma, è un po’ una trappola e bastano poche pagine per capirlo. I due autori (rispettivamente anche attore uno e editor e giornalista l’altro) nel tempo libero facevano t-shirt e le prime battute di questo libro vengono proprio da lì. Come per Cornellà, non si parte con l’esigenza di parlare a un target preciso, ma si intuisce la potenza di un’idea e la si confeziona per lasciarla libera di circolare nella sua freschezza che, poi, per l’umorismo è componente essenziale. Mi rendo conto che definire fresco un libricino dalla vocazione mortifera sia paradossale, ma paradossale è anche ritrovarsi a ridere dell’inesorabile fine a cui non possiamo sfuggire, della signora con la falce, della sinistra mietitrice… Stupido adorabile infingardo dinosauro.
#3
Lo so, vi ho adescato con un articolo sull’umorismo e vi ho trascinati in una specie di sbornia triste in cui dal ridere siamo passati al #maiunagioia in un colpo di tosse. Ve l’ho detto, l’umorismo è una bestiaccia (un dinosauro, per la precisione… visto?). E le tette e i culi? Ve li ho promessi. Sono certa che li apprezzerete anche se ve li propino chiamando in causa un libro che mina il terreno dell’amore romantico apparentemente più sicuro del mondo: quello delle favole. C’è spazio per tutti: personaggi superdotati (con poteri tutt’altro che magici), retroscena a luci rosse anche nelle più innocenti casette di zucchero, animali e nani. Quello che vi sembra un carosello di perversi freaks di tutto rispetto, è invece il repertorio di “Contes de fesses” (Helium Editions, 2017), le incursioni erotiche più buffe del mondo sbirciando dal buco della serratura delle favole classiche. Le ha disegnate Benjamino Caldo (a voi l’arduo compito di scoprire chi si cela dietro a questo eloquente pseudonimo) con una grazia invidiabile e senza censura alcuna se non quella che si attiva quando sai fare il tuo mestiere così bene che sai perfettamente quando spingere e su cosa (ehm… forse questa, parlando di erotismo, mi è uscita male, ma ok, avete capito). E poi, per somma indignazione dei puristi, Benjamino è pure un illustratore per bambini e io lo ringrazio perché mi conferma che, se disegniamo orsi canterini e scolaretti indisciplinati, ogni tanto possiamo permetterci anche di disegnare tette, culi (persino genitali) senza sentirci in colpa verso qualcuno. E, credetemi, funziona anche nella vita vera.
Zonzo di Joan Cornellà Fail better press, 2015
Tutti i miei amici sono morti e Jory John Baldini&Castoldi, 2014
Contes de fesses Benjamino Caldo Helium Editions, 2017