Wonder Trio : 3 libri per fare incontri a regola d’arte
“La scuola è una gran cosa soprattutto se ti insegnano ad amare i capolavori del passato però è un peccato che tu non li puoi vedere, né toccare” cantava Ivan Graziani nell’annunciare il furto della bella Monna Lisa. Ogni tanto mi chiedo anche io se dare “un’altra botta in testa” al custode del museo sia l’unico modo per concedere all’arte almeno una piccola pausa dal progetto di mera contemplazione che in tanti le hanno magistralmente costruito intorno.
Congelata nel tempo e nello spazio, allestita dentro a teche, dietro a cordoni, sopra a piedistalli,… confini invalicabili, pena l’imbarazzante trillo dell’allarme. C’è ancora molta arte che siamo educati a fruire così, a distanza perché, nonostante siamo figli e operai del web 2.0 dove tutto si mixa e la conoscenza si costruisce secondo la logica wiki della condivisione, deve essere lasciata dove sta, dentro alla cornice che testimonia agli occhi di tutti il suo valore indiscusso e indiscutibile.
In questo wonder trio l’arte ‘da museo’ si prende una pausa e reclama il diritto di divertirsi tra le mani di chi la ama.
L’arte si guarda e si ammira, certo, ma è anche materia viva che ci attraversa e che noi possiamo attraversare ed ecco perché in questo wonder trio vi porto a spasso e, più precisamente, vi porto a fare una passeggiata silenziosa, una “traversata” surreale e una caccia al mistero.
#1
La passeggiata silenziosa con cui iniziamo ad attraversare l’arte da museo in realtà, anche se non ha dentro le parole, sembra sempre più chiassosa mano a mano che sfogliamo le pagine. In “che capolavoro!” tutto comincia da una città immersa nella notte e da una cameretta dalla prospettiva molto familiare. In un paio di pagine ci sono già almeno 5 artisti da stanare e la situazione si complica appena compaiono orologi flosci, ombre bislunghe, scale impossibili. Un bimbo si sveglia e si prepara ad uscire di casa: un cielo stellato alla Van Gogh lascia spazio al trillo degli orologi surrealisti, una finestra-Mondrian si apre sul nuovo giorno, le auto fuori percorrono curve di sironiana memoria tra case spatolate di periferia.
L’arte dei grandi maestri (per lo più contemporanei) circonda il piccolo protagonista in modo fluido, naturale, bellissimo, come un vivido sogno dentro al quale muoversi a grandi balzi avanti e indietro nella storia. A mantenere la misura ci pensano il segno e la maestria compositiva di Riccardo Guasco, autore di questo silent book uscito nel 2018 in occasione della quinta edizione del Festival della Cultura Creativa promosso dall’Associazione Bancaria Italiana (e vi dirò che mi piace che le banche, accanto ai libroni artistici più tradizionali, stavolta si siano affidate a un albo illustrato). Pino Boero (esperto e docente di letteratura per l’infanzia) nella postfazione definisce questo libro “un’avventura nell’immaginario”, un incontro con l’arte per invitarci tutti a contribuire alla creazione di capolavori sempre nuovi. L’arte in effetti la si incontra dappertutto, persino in bagno spunta l’orinatoio di Duchamp. Insomma, questo bimbo è proprio circondato, assediato, contaminato da colori e forme che implodono gli uni nelle altre, ma non sembra un agguato, sembra più una festa e, in effetti, il bimbo non corre da solo verso la sua misteriosa meta finale.
Prima di chiudere il libro, al lettore viene lasciata una pagina bianca per il proprio capolavoro e una legenda per recuperare tutti i capolavori citati. L’eleganza e la sintesi di Guasco sono un insegnamento prezioso su come interpretare sia diverso da riprodurre, su come si può trattare con rispetto e ironia anche ciò che è apparentemente intoccabile se si è molto consapevoli, preparati e, diciamolo, anche talentuosi.
#2
Dal chiasso gioioso dei colori di Guasco, si passa al silenzio rarefatto delle matite di David Prudhomme. La sua “Traversata del Louvre” è uno sbandamento dietro l’altro, cercando la compagna persa tra le stanze e beandosi non solo delle 35000 opere esposte ma anche delle decine e decine di visitatori che, come lui, si aggirano ubriachi di bellezza. Prospettive che si ribaltano (quella della Gioconda è eccezionale) per immedesimarsi ogni tanto anche nelle opere che guardiamo e che, a loro volta, guardano noi; tante porzioni di mondo che si incrociano e compongono un catalogo di comportamenti e di umanità come si stesse girando un documentario sotto traccia in cui le opere esposte sono solo un pretesto. Eppure sono ben riconoscibili il più delle volte e le incontriamo in un continuo gioco di consonanze deliziose in cui l’autore le abbina ai visitatori, come nelle pagine dedicate alle coppie intente a farsi selfie accanto alle bellezze classiche, distratte e stanche ai piedi di una teca, disperse e ritrovate all’ombra di un romantico sarcofago etrusco.
Prudhomme si disegna con occhiali e colbacco, telefono alla mano, a parlare distrattamente di un fantomatico libro in composizione proprio sul museo: “Un po’ mi sembra di trovarmi in un gigantesco fumetto… Su tutte le pareti ci sono delle vignette… lettori ovunque venuti da tutto il mondo… Capisci com’è? Storie mute”.
Probabilmente lo capiamo anche noi, specialmente se siamo disegnatori e ogni tanto ci è capitato di fare una sessione di schizzi dentro qualche museo (voi siete tra quelli che schizzano le opere o i visitatori? Io finisco sempre per disegnare questi ultimi).
Forse qui, più ancora che le opere d’arte, è il museo nel suo insieme che ha bisogno di prendersi un po’ di respiro, di abbassare le misure di sicurezza e mescolare persone e oggetti in un continuum armonioso di pause, silenzi, code e attese. E proprio al museo, al Louvre, è dedicata la sezione finale del libro in cui si enumerano i pezzi esposti ma anche la metratura, il numero delle finestre, persino delle serrature. Questa architettura complessa nata per ospitare in silenzio le grandi tracce dell’arte, è progettata anche per farci incontrare, a volte nostro malgrado, con persone lontanissime e con altre parti di noi: “Questo museo mi fa venire le vertigini… è tutto un puzzle” dice Prudhomme pensando anche solo a quante foto hanno immortalato distrattamente pezzi del suo corpo confusi tra tanti altri corpi. In questo “palazzo di destini incrociati” ci si perde e ci si disfa, proprio come i colori prima di occupare il loro posto sulla tela.
#3
Cose da ricomporre nell’ordine giusto ce ne sono anche nell’ultimo libro, “Alla ricerca di Lola” di Davide Calì e Ronan Badel, e sono indizi raccolti da un improvvisato investigatore sulle tracce di una donna misteriosa. Abbiamo sfogliato un albo, un fumetto e ora abbiamo per le mani quello che somiglia a un taccuino d’artista dove opere originali e disegni dell’illustratore convivono e si alternano lungo i 5 giorni che Bob, il protagonista, ha per risolvere il caso. L’artista in questione è Edward Hopper e l’intuizione viene da Calì che scrive questo testo originariamente in francese con un titolo, “La chanson perdue de Lola Pearl”, che preferisco a quello italiano perchè ci sento dentro tutta la malinconia rassegnata dei personaggi di Hopper che mi fa tanto commuovere. Non vi svelo il mistero, non vi faccio spoiler, non vi do nessun indizio perché è un giallo e non ve lo rovinerei mai. Faccio un plauso alla delicatezza dei segni di Ronan Badel che si vede che a Hopper è affezionato e lo accarezza con acquerelli e tratteggi rispettosi ma mai intimiditi dalla grandezza dei dipinti che affiancano. Vi porto con me in fondo al libro, dove c’è una delle cose più interessanti, una di quelle che mi fanno venire le idee, che rivelano un modo di lavorare e, in questo caso, un modo di maneggiare l’arte fuori dalla sua cornice: vi porto “nell’atelier degli autori”. Si chiama così la sezione finale in cui i due parlano del loro legame con questo libro e Davide Calì, in particolare, ne rivela l’origine. L’occasione scatenante è la visita a una mostra e l’acquisto del catalogo che, sfogliato pagina dopo pagina e quadro dopo quadro, inizia a suggerire una storia. È ancora una storia “in potenza”, la struttura si consoliderà dopo tanta ricerca e un’accurata selezione delle opere di Hopper che più si prestano a mettere in scena il racconto noir che Calì ha in mente e che mette insieme proprio come l’investigatore fa quadrare gli indizi. “Mi esaltava l’idea di giocare con le opere di un grande pittore”, scrive. Che incosciente, non lo sa che non si gioca al museo? E invece, perché no? Tanto quanto le mostre non sono solo un susseguirsi di pareti sapientemente allestite, ugualmente i cataloghi non sono solo passivi strumenti d’archivio. Nelle mani giuste, con occhi sufficientemente coraggiosi, diventano occasione di narrazione e poco importa se non assolvono più il compito didascalico per cui sono stati concepiti. Quando c’è mestiere e sincero trasporto, non si stona e anche le “canzoni” degli altri (come quella di Lola Pearl) si riarrangiano e poi si suonano come se fossero state nostre da sempre.
Allora gliela diamo o no questa “altra botta in testa” al custode del museo per aiutare Signora Arte a conquistare un giorno di libertà? Forse ora che ci siamo studiati un po’ di vie di fuga più divertenti (e meno criminali) possiamo risparmiarglielo. Forse possiamo fare come i bimbi del progetto “Parteciparte” alla Galleria dell’Accademia di Firenze a cui (nel febbraio 2018) è stato dato un foglio con alcune opere d’arte riprodotte e uno spazio vuoto per riscriverne le didascalie (andate a vedere qui cosa ne è uscito). E ora scusate, ma Signora Arte mi passa a prendere per un incontro clandestino e non vorrei farla aspettare troppo.
Riccardo Guasco
Carthusia, 2018
David Prudhomme
001 Edizioni, 2013
Davide Calì, Ronan Badel
Jaca Book, 2019