CHAPEAU! – storie che lasciano domande, mai vere risposte
Personalmente sono una gran fan del lieto fine, specialmente quando viene trasmesso come valore diretto, nel momento in cui ti racconto una fiaba, ma mentirei se dicessi di non possedere anche una certa fascinazione per il macabro, per le storie che finiscono col sangue, quelle in cui la morte è smascherata con un sprezzante senso di ilarità, come nel Abecedario di Edward Gorey.
È difficile saper coniugare questi due aspetti del racconto, il lieto fine, che per Bruno Bettelheim è l’antidoto perfetto contro la paura della morte: la certezza di una stabilità emotiva che ti renda ‘per sempre’ felice e contento, e l’ilarità stessa della morte, che per mezzo dell’assurdo ti introduce alla caducità della vita, ed è forse per questo che trovo geniale il lavoro di Jon Klassen, che con i suoi cappelli è riuscito a destreggiarsi tra questi due estremi con ironia, amore ed intelligenza.
La trilogia di libri di Jon Klassen, Voglio il mio cappello!, Questo non è il mio cappello, e Toh! Un cappello! è edita in Italia dalla Zoo Libri. Sono molto grata a questa casa editrice per aver portato in Italia un autore che solo sei anni fa, si trovava misconosciuto nei meandri di tumblr, su youtube o vimeo, perchè Jon Klassen nasce proprio come animatore, e i video non gli sono certo estranei.
Ma se l’animazione si concentra molto sull’azione, Klassen ama molto di più concentrarsi sulla reazione! E questa è forse la ragione per cui anzichè nell’animazione è finito a far parte del mondo della letteratura per l’infanzia.
In Voglio il mio cappello, accompagniamo quest’orso senza nome, ma dagli occhi molto incisivi, alla ricerca del suo adorato cappello, che ha perso. Chiede alla volpe, chiede alla tartaruga, al serpente, chiede al coniglio, che indossa un buffissimo cappello triangolare rosso, ma che un po’ agitato, gli giura proprio di non averlo visto, il cappello dell’orso. Allora quando il cervo che viene in aiuto all’orso gli chiede com’è fatto il suo cappello, e l’orso descrive proprio il cappello che indossava il coniglio, il nostro eroe viene folgorato dalla rivelazione.
Torna indietro correndo, finché non arriva dal coniglio e lì…
Lì non sappiamo che succede, l’azione ci viene nascosta, come nel secondo libro della trilogia, dove questa volta, vediamo la storia dalla parte del ‘ladro di cappelli’. In Questo non è il mio cappello un piccolo e spavaldo pesce, spera di potersi nascondere in mezzo alle alghe per sfuggire al possessore del cappello a cui l’ha rubato, che purtroppo però riesce a trovarlo e in mezzo alla foresta di piante acquatiche anche lì…
In questo caso il non detto ci racconta meglio delle le parole, l’orso da vittima diventa carnefice, pur continuando a starci molto simpatico, e il pesce spavaldo e sicuro delle sue malefatte sparisce per sempre in mezzo alle alghe.
Nessuna di queste due storie si prefigge di darci una morale, sono divertenti e macabre ma è in virtù della loro irrispettosa narrazione, priva di edulcoranti, che fanno così tanto ridere i bambini, perché sono sincere! E come tutte le migliori favole degne di questo nome però, ci insegna anche qualcosa. Perché il non detto è lo spazio ideale di riflessione del pensiero: Cosa è successo al pesce? se lo meritava? e l’orso ha davvero mangiato il coniglio? e queste piccole domande danno vita in noi a grandi interrogativi, come tutte le storie dovrebbero fare…
La differenza tra favola e fiaba, sempre secondo Bruno Bettelheim, consiste nel carattere prettamente morale della favola, mentre la fiaba è l’espressione inconscia con cui l’uomo cerca di risolvere i problemi della sua psiche, per questa ragione il lieto fine è importante, perché fa parte di un’educazione al sentimento che è insita in ogni cultura e in ogni civiltà. Mentre la favola a volte rischia di essere troppo moralistica per piacere al bambino, la fiaba in generale, almeno secondo la mia esperienza di neo tata, è sempre molto richiesta. Se i primi due libri,Voglio il mio cappello!, e Questo non è il mio cappello, tendono ad essere per questo, più simili alle favole che alle fiabe, è con l’ultimo libro, Toh! Un cappello! traduzione non letterale di We Found a hat, che arriva alla fine, (com’è giusto che sia) il tanto agognato lieto fine, che rende questa trilogia così bella e completa.
Toh! Un cappello! è la storia commovente di due tartarughe che un giorno trovano un bellissimo cappello. Un cappello che vorrebbero tutte e due, ma che siccome ce n’è uno solo, si vedono costrette ad abbandonare. Mentre una tartaruga viene ossessionata dall’idea del cappello, e pensa di rubarlo e scappare con esso, l’altra tartaruga invece capisce che ciò che davvero è importante è la condivisione, lo stare insieme, e nel momento in cui il cappello si mette in mezzo al loro legame, allora esso smette di diventare importante.
Non voglio raccontare più di quanto non abbia già fatto, quando ho letto per la prima volta questa storia sono rimasta così colpita e commossa che mi sono ripromessa un giorno di scriverne. Mi riesce molto difficile scrivere a riguardo ora, preferisco piuttosto invitarvi alla lettura di questo bellissimo libro, perché ancora una volta, tramite il gioco di dire e non dire, mostrare e non mostrare, Jon Klassen riesce magistralmente a raccontarci una storia piena di significato ed amore, degna di quei lieti fine che ora, quasi ci paiono scontati e stantii, mentre, come ci mostrano le due tartarughe, sono l’unico finale possibile per vivere felici e risolvere i conflitti.
Il valore delle grandi storie per bambini, (ma non solo) sta nel saper parlare, sempre con toni e variazioni diverse, frutto dei nostri tempi, di quei problemi che da sempre infestano l’animo umano: l’incertezza per il futuro, la paura della morte, la differenza tra il bene e il male, il significato dell’amore.
Usare un linguaggio semplice per dar vita a domande di questo tipo, perché le grandi storie ci lasciano solo domande, mai vere risposte, è una sfida che risulta più ardua di quello che sembra! Ed è per questo che per un autore come Jon Klassen, che è riuscito in questa difficile impresa, io mi devo proprio TOGLIERE IL CAPPELLO!