Raccontare con ironia, come si fa? – di gatti, di mostre perse e di punti di vista
Ho perso un’occasione. Lo confesso e me ne pento. All’ultima Fiera a Bologna avevo la possibilità di entrare nell’immaginario di Gilles Bachelet, uno dei più bravi illustratori francesi.
Avrei potuto ammirare il suo immenso mondo creativo, pieno di ironia, invenzioni e colpi di genio. Avrei potuto. Avevano organizzato un bellissimo evento: Operazione Bachelet, appunto. Una mostra sul lavoro e sul dietro le quinte di questo adorabile artista. Beh, mi merito uno sguardo di rimprovero… me la sono persa! E ancora non me ne faccio una ragione.
Avrei davvero voluto vederla, la mostra, e ve ne avrei parlato. Ma no, niente, non ce l’ho fatta. Ma questo non m’impedirà di parlare lo stesso di quest’artista.
Come sapete adoro andare a scoprire libri che non conosco e spesso mi lascio incantare da una tecnica pittorica particolare, magari da un sapiente uso della luce, oppure dall’immediatezza di un acquerello…
ma parlare di Bachelet mi da’ l’opportunità di parlare di “scrittura” e di “punto di vista”
Bachelet è anche autore dei suoi libri e la caratteristica che risalta è lo sguardo ironico e non convenzionale con cui racconta la “sua” realtà. Chi scrive sa bene che la semplicità è il miglior narratore, e che l’ironia è l’arma vincente per arrivare dritti al sorriso dei lettori, di qualunque età siano.
Bachelet è un esempio di scrittura semplice (che non vuol dire facile, sia ben chiaro), immediata e, appunto, ironica.
In un’intervista di qualche tempo fa Bachelet si dichiarava pessimista. Lì per lì ero rimasta perplessa, poi, naturalmente, ho capito che proprio per questo motivo egli ama vedere il lato ironico della vita, un po’ come una forma di autodifesa.
Poco prima delle Fiera ho letto “Quando il mio gatto era piccolo“. Non è una vera storia.
Piuttosto è una specie di diario, che assomiglia molto a un piccolo manuale di convivenza felina – umana. Io che possiedo un gatto mi ci sono molto ritrovata, sia nelle parole che nelle illustrazioni, che raccontano molto bene le piccole idiosincrasie feline, le tenerezze, le abitudini e pefino i dispetti dei gatti. Per chi non conosce Bachelet (e magari non ama i gatti) tutto questo può sembrare persino noioso.
Ma qui arriva il colpo di genio. Il punto di vista diverso.
L’ironia, nella lettura di una quotidianità “altra”, rispetto a quello che uno si aspetta. Perché le parole descrivono molto bene cosa significa avere un gatto… Ma le illustrazioni ci sorprendono mostrandoci il gatto in questione: un tenero (ma pur sempre enorme) elefante.
Sembra che l’animale non ne sia consapevole… ma nemmeno il suo padrone!
Si sorride, si ride, si scuote la testa pensando: “Ma nooo! Ma dai!” e credo che i padroni di gatti ne rimangano comunque inteneriti. Il racconto è lineare, il segno dell’illustratore è una linea pulita, senza virtuosismi tecnici. Dunque cosa rende questo libro differente?
Senz’altro il “punto di vista“. Basta cambiare “volume” al protagonista per renderlo improvvisamente un attore d’eccezione.
Come può un elefante dormire sulle nostre gambe, accoccolarsi sulla scrivania o azzuffarsi con un cane senza che tutto questo desti il minimo dubbio sulla sua vera natura? Come può non combinare disastri? Come può, aggiungerei io, non farsi voler bene?
Un libro che parla di diversità, ma anche di accoglienza, che ti aiuta a vedere la vita in maniera non convenzionale.
Per me, che amo molto scrivere, questa è una grande lezione: semplicità, ironia, cambio del punto di vista. La base da cui si può partire per raccontare una storia non banale e che faccia sorridere. Scommettiamo che state andando tutti a scrivere?
P.S. Ma prima leggete tutta la saga del “Gatto”, edita in Italia da Il Castoro.
Grazie della lezione, Bachelet!