Personal Rorschach Test – Intervista a Marianna Balducci
Siamo state virtualmente invitate alla mostra di Marianna Balducci che, dal 23 aprile al 10 luglio, sarà parte integrante della seconda edizione della Biennale del Disegno di Rimini.
Siamo stati catturati dalle sue immagini enigmatiche e fantastiche, nate da semplici macchie… Ma sarà proprio lei a parlarcene!
Ciao Marianna! Prima di iniziare il nostro tour vorremmo chiederti cos’è la Biennale del Disegno di Rimini?
La Biennale del Disegno è un’operazione coraggiosa portata avanti dall’assessorato alla cultura del Comune di Rimini a partire dal 2014 (anno della prima edizione), una importante eredità che si sta costruendo per la città di Rimini e che, grazie anche all’attenzione della Regione Emilia Romagna, sembra abbia davvero tutte le carte in regola per diventare un appuntamento costante sempre più incisivo.
Si tratta della prima manifestazione italiana dichiaratamente votata alla celebrazione del disegno come strumento di ideazione creativa e di progettazione primigenia dell’idea (sia essa appartenente al mondo dell’arte, della grafica, dell’architettura).
Dal “nido delle idee” (non a caso tema della prima edizione), si arriva al 2016 parlando dei “profili del mondo”, andando a insistere sul modo in cui attraverso il disegno si indaga, si scrive, si racconta la realtà. La Biennale ha portato anche quest’anno i contributi più disparati: da opere selezionate da grandi musei e importanti raccolte private (da Guido Reni a Guercino, da Francis Bacon a Michelangelo Pistoletto), alle grandi mostre monografiche di carattere storico (da Mario Sironi a Andrea Pazienza, da Pino Pascali a Tullio Pericoli). Attorno alle 27 mostre istituzionali che animano i luoghi più rappresentativi della città, si mobilita anche il Circuito Open, una sorta di fuori salone dove gallerie private, studi d’architettura, laboratori artigiani, librerie mettono a disposizione i propri spazi e ospitano delle mostre a loro volta. Insomma, la città si colora di meraviglie e il tempo disteso dell’iniziativa (dal 23 aprile fino al 10 luglio) ci vuole proprio tutto per godersi ogni angolo di questa Rimini “ri-disegnata”.
Parlaci invece del tuo progetto, come è nata questa idea?
Alla Biennale porto il mio Personal Rorschach Test, all’interno della collettiva Cantiere disegno allestita al Museo della città, nell’ala dedicata al contemporaneo. Mi piace ricordare che laddove si trova ora il museo, c’era un tempo l’ospedale cittadino: specialmente l’ala contemporanea è un luogo recentemente recuperato e adibito all’esposizione, un posto straniante e molto suggestivo in cui il mio “Rorschach Test” sembra proprio trovarsi a suo agio…!
In realtà il nome che cita il celebre test psicologico è un espediente per far capire in modo immediato come ho lavorato nella produzione di queste tavole.
La raccolta completa ne conta 31 esemplari (in mostra ne trovate 17) realizzati giorno per giorno durante l’ottobre 2015. Avevo preparato le macchie di inchiostro come si fa quando da bambini si gioca con la pittura: gocce disordinate e più o meno diluite si spandono in modo imprevedibile quando pieghi il foglio a metà e ti rivelano una forma nuova quando il foglio viene riaperto. La sfida per me era quella di assecondare la macchia del giorno e vedere cosa mi raccontasse, intervenire in modo non troppo invasivo, liberarmi dalla sensazione di dover controllare tutto sul foglio. Insomma, stavolta dovevo abituare la mano e la testa a progettare in un altro modo. A parte la meraviglia dell’inchiostro che si prende i suoi spazi e genera delle venature e delle forme inaspettate, mi sono accorta che, giorno dopo giorno, questo esercizio mi stava portando a disegnare anche cose che probabilmente in autonomia avrei gestito diversamente. Come se interpretassi davvero le macchie di Rorschach, emergono immagini che parlano di me e del mio modo di vedere le cose, anche immagini latenti che non sapevo di avere dentro.
Sappiamo che utilizzi sia la tecnica tradizionale che digitale. Per questo progetto quale tecnica hai utilizzato?
In questo caso gli strumenti sono tradizionali e anche molto poveri: le macchie sono realizzate con inchiostro di china; gli interventi sono a matita, rapidograph, pastello bianco a cera, acrilico bianco. La macchia resta protagonista, il disegno ne rivela una chiave di lettura inaspettata ma funziona solo se non ci sono troppe aggiunte e se c’è, per così dire, un rispetto reciproco tra me e il disegno in corso. Ho scelto degli strumenti essenziali perché volevo essere veloce nell’esecuzionee conservare la freschezza dell’idea senza essere troppo viziata dalla tecnica. Prima di intervenire però, ho fotografato tutte le macchie (quasi nessuna è stata scartata, ne avevo preparate poche di più di quelle da impiegare nel mese scelto… se no il gioco non vale). Questo mi ha permesso di guardare il mio lavoro a distanza di tempo e capire cosa era successo, cosa non facile nel mese intenso in cui disegnavo e disegnavo e disegnavo.
Qual è stata invece la reazione del pubblico?
Una delle cose che più mi dà soddisfazione quando ho occasione di esporre le mie illustrazioni è che si crea subito una certa vicinanza emotiva con chi le guarda. Il disegno è il mio modo di pensare, ma anche il mio modo di parlare con chi mi sta intorno e mi piace quando il racconto si trasforma in dialogo. Nell’allestimento ho scelto di appendere delle piccole riproduzioni delle macchie originarie sotto a ciascuna illustrazione: le ho appese con un filo in modo che i visitatori potessero prenderle in mano e confrontarle col disegno, facendo un po’ il test a loro volta insieme a me. Ho nascosto qualche sorpresina digitale con dei qr code distribuiti dietro ad alcune delle cartoline-didascalia così che chi è davvero interattivo abbia una gratificazione ulteriore (girando la cartolina infatti, dietro alla macchia nuda, c’è il titolo di ogni disegno che in qualche modo suggerisce già un piccolo principio di storia). Ho anche lasciato un guest book personale e, stando alle dediche raccolte in queste prime settimane, ci sono manifestazioni di stima e complicità che mi danno molta soddisfazione.
Con questo lavoro ho tracciato i profili de mio “mondo interiore” con risultati inaspettati persino per me stessa, mi sono esposta ma ho trovato occhi accoglienti tutti intorno
(a partire da quelli di tutto lo staff organizzativo della Biennale e dei colleghi disegnatori “vicini di stanza”). Ma ho cercato anche di non prendermi troppo sul serio, di smitizzare il Rorschach Test prendendomi la libertà di giocare con leggerezza con i meccanismi che scatena e sono contenta che questo fino ad ora sia stato capito.
Hai altre mostre in programma? Se sì, (rimanendo in tema) che cosa partorirà la tua mente?
Per il momento le attenzioni sono tutte sulla Biennale, ma mi piacerebbe poter far viaggiare la mostra anche altrove nei prossimi mesi così come spero che questo progetto possa, un giorno, diventare qualcosa che va oltre l’esposizione. Un altro progetto illustrato che mi sta molto a cuore, invece, ancora non l’ho potuto mostrare ma ci sono novità all’orizzonte e spero di potervene parlare presto!