Il nostro “Demone” – PLAGIO Parte 1.2
Buongiorno a tutti!
Che questa giornata sia ricca di buone nuove.
In questi giorni rileggo le interviste che ho ricevuto.
Sono frutto di profonde riflessioni e spunti, metti che questo “Demone” inizi veramente ad andarsene.
Oggi potrete leggere le prime due interviste. Ad entrambi ho fatto quattro domande.
Quattro domande che mi auguro siano la scintilla per un dialogo costruttivo a riguardo.
Lavorare nel settore dell’illustrazione è bello, indubbiamente.
Si ha a che fare con parole, carta, tavolette grafiche e tante, tantissime immagini.
A volte ci si trova nel classico blocco e non si sa più da che parte andare ma grazie a Facebook e ad internet è facile trovare qualche collega che ti possa dare una mano e darti un commento sull’ultimo lavoro e sbloccarti.
Internet è quindi un grossissimo coworking dove lo scambio di idee e immagini è continuo.
Il rovescio della medaglia è che oggi diventa molto più facile vedere quanto uno stile possa influenzare le proprie opere.
Ma cosa fare quando un’influenza diventa un plagio?
Questo argomento è enorme, coinvolge il diritto d’autore che per quanto chiaro come concetto, all’atto pratico è sempre difficile da valutare.
Ma bando alle ciance ed ecco le prime due interviste a Daniele Tofi Morganti e Paolo D’Altan.
Il primo è Daniele Tofi Morganti.
Studente del Mimaster, un master di illustrazione con sede a Milano. Ho lavorato per 4 anni nel campo della comunicazione visiva presso lo studio Sincromie di Messina. Amo profondamente il mio lavoro e mi innamoro di chi condivide la mia stessa passione.
Potete vedere i suoi lavori su Behance: https://www.behance.net/danieletofimorganti e sulla sua pagina Tumblr: http://danieletofimorganti.tumblr.com
A: Ciao Daniele,
grazie per avermi concesso un po’ del tuo tempo.
Inizio subito con una domanda per poter fare il punto della situazione: cosa è per te il plagio?
DTM: Rispetto al mondo dell’illustrazione, penso che si possa definire piagio la volontà di sfruttare le peculiarità di un altro linguaggio senza interpretarle o farle proprie, ma prendendole e utilizzandole senza alcuna rielaborazione personale. In questo senso, plagiare significa sfruttare le idee altrui aggirando l’ostacolo di crearsi da soli un linguaggio personale.
A: Da studente che studia illustrazione, quanto i tuoi studi influenzano il tuo stile?
DTM: Infinitamente. Ho ripreso a studiare perché sentivo in me un bisogno forte di sapere di più di quello che facevo, e tutte le immagini che sto incontrando lungo il mio percorso riescono a incuriosirmi e a coinvolgermi, anche se a volte non le capisco ne le accetto a pieno. E a volte mi trovo a copiare e ricopiare le cose che mi piacciono, perché è un modo per studiarle e comprenderle. Osservare, farsi influenzare, addirittura copiare sono fasi che ritengo fondamentali per arrivare a sviluppare un linguaggio proprio che sia efficace.
A: Hai mai notato un lavoro tuo o di un tuo collega che sia “figlio” di un plagio? Come ti sei comportato?
DTM: Mi tocca dire più e più volte, e non parlo di semplici ispirazioni che possono andare benissimo.
Ma nella maggior parte dei casi ho giudicato il gesto fine a se stesso e incapace di danneggiare qualcuno, quindi ho lasciato correre, ma ripensandoci forse ho peccato di pigrizia. Purtroppo, direttamente o indirettamente, il plagio è un gesto che danneggia i professionisti, sia quelli che vengono plagiati di continuo, che vedono limitato il proprio mercato, occupato da infinite imitazioni, sia quelli che lo fanno, che si appoggiano al linguaggio del momento che, prima o poi, finirà di essere di moda e li lascerà senza lavoro.
A: Ultima domanda: quale potrebbe essere una soluzione che tuteli un illustratore e un editore dal plagio?
DTM: Sinceramente non ne saprei avanzare una concreta, sopratutto sotto un profilo legale, ma sono sicuro che una educazione visiva più profonda, sia da parte degli addetti al settore che degli spettatori, possa tutelare il valore dell’originalità nel settore della creatività. Ho la percezione che in Italia il gesto del plagio, specialmente in ambito artistico, venga tollerato con facilità, anzi a volte assomigliare al professionista X del momento potrebbe pure essere un valore, cosa che spinge gli illustratori ad appoggiarsi a linguaggi già testati che funzionano. Chi ha ruoli dirigenziali nel mondo della comunicazione e dell’editoria dovrebbe opporsi a questa tendenza specialmente quando si tratta di accontentare un cliente, perché oltre a mortificare il valore professionale di un altra persona, danneggia anche il proprio lavoro.
Paolo D’Altan non ha bisogno di grandi presentazioni.
Illustratore più che affermato. L’ho conosciuto di persona durante un corso di Painter qualche anno fa. Ottimo docente e simpaticissimo. Tra i premi più prestigiosi non si può citare il Premio Andersen 2011:
“Per l’attento e paziente lavoro di documentazione che accompagna ogni suo lavoro. Per la vividissima capacità, affinatasi nel tempo, di narrare cogliendo con fervida precisione gli stimoli e gli echi dei testi”.
Cos’altro aggiungere?!
A: Salve Paolo, ti ringrazio per avermi concesso un po’ del tuo tempo.
La tua esperienza è indiscussa motivo per cui parlare oggi di plagio con te può essere un buon modo per tracciare un sentiero per questo argomento.
Inizio subito con una domanda per poter fare il punto della situazione: cosa è per te il plagio?
PDA: Grazie Andrea della bella domanda… Mi obblighi a fermarmi un attimo e cercare di riordinare frammenti di discorso che mi vagano nel cervello. Spero di essere abbastanza chiaro.
Parliamo di plagio quando qualcuno si appropria di una creazione altrui spacciandola per propria anche per fini commerciali. Se si copia lo stile, l’idea, la composizione in maniera spudorata non si è proprio sulla retta via.
Non è facile da definire oggigiorno per quanto hai detto sopra. e cmq il confine è labile.
Si sono scritti begli articoli sull’argomento ne “Le figure dei libri”, e nel blog di Topi Pittori, Copiare è abbastanza inevitabile, nessuno nasce “imparato”, da sempre si copia, ma lo scopo deve essere quello di capire, crescere formarsi e affrancarsi da un segno che si sente affine.
A: Il tuo stile è marcato, indiscutibilmente riconoscibile ma è anche uno stile, immagino, nato dall’osservazione continua di ciò che ti ha interessato.
Come hai fatto a mantenere il tuo stile “tuo” senza risultare troppo simile ad altri?
PDA: Agli inizi ho anche copiato tanto, perché mi piaceva un determinato autore, per imparare, per capire come usare i colori, o comporre un’immagine, perché anche mi veniva chiesto, quando cominciai a lavorare per la pubblicità millenni fa: un’ottima palestra per uno come me, fondamentalmente autodidatta.
Forse perché sono onnivoro d’immagine, mi è sempre piaciuto confrontarmi con situazioni diverse.
Mi immaginavo un personaggio di nome Multisegno o Multisign, che poi diventò Multiface (senza la “s” finale!), la materializzazione di infinite espressività che mi era impossibile da applicare nel lavoro. Più di una volta ho predicato la necessità di pseudonimi per fare cose diverse perché in fondo la ripetitività mi ha sempre dato fastidio, per non parlare della piatta imitazione. Ma predico bene e razzolo male…
Comunque, pur mantenendo elementi riconoscibili lo stile evolve (almeno si spera) si affina, a piccoli passi o anche repentinamente, grazie agli stimoli passati presenti e futuri, reali e virtuali.
A: In cosa incorre un illustratore professionista, e non, plagiando un collega?
PDA: Un illustratore professionista non dovrebbe minimamente provarci… Un conto è una dichiarata citazione e omaggio, un conto è appropriarsi dell’opera altrui. Anche per questo l’AI, elaborò a suo tempo un codice deontologico.
Il problema è semmai nell’imitazione, nell’illustrare “alla maniera di” (manierismo) e nell’ignoranza dei committenti, di chi clicca “Mi piace” e decreta un successo un po’ rubato, o perché comunque sembra bella l’immagine plagiata e funziona in un tipo di mercato, perché si va sul sicuro, si segue la moda e la corrente spinta da un’abile promozione sui social.
Il tutto legato all’evoluzione del mercato e dell’approccio al lavoro, radicalmente cambiato con l’apertura all’universo offerta da internet.
Internet è un ottimo e indispensabile mezzo di promozione, e anche di rischio.
Nello stesso tempo, se facilita l’uso illecito, volontario o involontario, di opere altrui, permette di scoprire l’eventuale inganno o furto, mettendo alla pubblica gogna l’autore del misfatto.
A: Ultima domanda: quale potrebbe essere una soluzione che tuteli un illustratore e un editore dal plagio?
PDA: L’immagine digitale è decisamente più copiabile e in casi controversi si deve essere in grado di dimostrare di essere autore e proprietario dell’opera originale.
Si va dal diffondere una versione leggermente tagliata rispetto all’originale (che quindi contiene maggiori informazioni), a inserire metadati o semplicemente il simbolino © e il proprio nome. Nel lontano 2012 in occasione di incontri sull’argomento tenuti a Lucca Comics, l’AI pubblicò sul suo blog delle indicazioni in merito, raccolte da fonti diverse.
Sarebbe da aggiornare ma allego comunque qui il link.
http://ai-lunchbreak.blogspot.it/2012/12/come-proteggere-le-proprie-opere.html
E con queste ultime interessantissime parole di D’Altan si chiude questa coppia di interviste e ringrazio quindi Daniele e Paolo.
Ci leggiamo alla prossima intervista!