Sono un pittore, ma nessuno mi crede.
di Dino Buzzati
Oscar Mondadori, 2013
Vi avverto: prima che vi mettiate in testa strane idee, oggi qui bisogna esibire la tessera. Come “che tessera”? Quella che vi qualifica, quella che vi smista nel quartiere giusto. Non so se potete stare qui, in mezzo agli ILLUSTRATORI.
Che fatica tutte le volte doversi presentare, annunciare, definire escludendo delle cose per nobilitarne altre, giustificare, dimostrare,… Forse la prossima volta faccio anche io come Dino Buzzati: mi scrivo e mi disegno un bel “lasciapassare” da esibire quando occorre che, più che qualificare, mi racconti, faccia capire che forse non so bene che mestiere faccio ma so farmi le domande giuste. Chi sono io?
“Sono un pittore, ma nessuno mi crede”.
Eh no, Dino, così partiamo male! La guardia appostata ai cancelli che è convinta che tu sia “solo” uno scrittore non ti lascerà mescolare con i professionisti della tela e dei colori (perché, lo ammetterai anche tu, fino ad ora, il 1958, a 52 anni suonati, ci hai distratti con un sacco di meravigliose parole). Eppure è così, Buzzati lo confessa a malincuore perché lo sa anche lui che, dopo tanti anni dedicati con passione alle storie scritte, il mondo “non può” prendere sul serio anche le sue storie disegnate. Il lasciapassare è il manifesto programmatico con cui tenta di spiegarsi e discolparsi in apertura alla prima mostra di dipinti della sua vita e che apre anche la raccolta pubblicata nel 2013 da Mondadori: “Le storie dipinte” (a cura di Lorenzo Viganò). Questo, quindi, è l’esordio di un malinconico ma rigenerante coming out. Nonostante Buzzati abbia sempre disegnato, le sue opere incontrano il pubblico tardissimo suscitando curiosità, apprezzamento ma anche qualche scomoda e pesante stroncatura di chi proprio non ci sta ad attribuire tutte queste etichette di pregio a un uomo solo. Se uno è scrittore, è scrittore. Cosa pretende di essere, anche pittore? Sono queste le guardie, i personaggi critici e criticoni che vorrebbero incasellare tutti per forza e mettere ordine. Buzzati un po’ ci soffre e un po’ ci marcia, ma confida sinceramente nel fatto che il talento sappia farsi strada (“con maggiore o minore fatica a seconda della fortuna” e, a distanza di tempo, suo malgrado, potremmo dire che aveva ragione). È così indispensabile, in fondo, dare retta a quella parte di mondo che ha bisogno di definire tutto in modo univoco? Forse un po’ ci dobbiamo rassegnare (persino grandissimi nomi come Picasso, pittore ma anche poeta, ce lo consigliano); forse dobbiamo considerarla un’opportunità per arrivare al vero cuore della questione. Prima di arrivarci, però, le stanze sono molteplici. Basta sfogliare le immagini di Buzzati (dipinti affiancati da un piccolo soggetto scritto) per accorgersi che il cammino è tortuoso e il soggiorno scomodo. Tra le storie dipinte si alternano appartamenti in cui si consumano inaudite violenze, sospirati castelli chiusi e silenziosi, gatte, misteri, persino il Babau.
“Quando scrivo e quando dipingo io cerco di evadere dalla paura”.
Ed ecco un primo punto di contatto tra queste due professioni, la scrittura e la pittura, che sembravano invece respingersi per essere formalmente considerate tali. Ma ancora non ci siamo: bisogna risolvere “il delitto di via Calumi” (che è quasi più fumetto che quadro… che sia questo il vero delitto?), assaggiare una delle mogli del califfo vegetariano che, pur di piacergli, si sono trasformate in carote e cavolfiori, e bisogna abbattere almeno un maiale volante sulle Alpi! “Corri, corri, dunque, cavallino”, arrivi ai medici condotti che neanche te ne sei accorto, ombre nere che si stagliano grafiche su una città di finestrine gialle. Tutte queste capriole di parole e immagini mi ricordano le acrobazie vocali di John De Leo nei Quintorigo (Bentivoglio Angeliiiiina…!). Ma Buzzati non ha paura né delle acrobazie, né dei labirinti e, soprattutto, non ha paura di farsi le domande giuste e allora chi sei, Dino, per davvero? Sei pittore, sei scrittore, sei matto, chi sei?
“Sono un pittore il quale, per hobby, durante un periodo purtroppo alquanto prolungato, ha fatto anche lo scrittore e il giornalista. Ma dipingere e scrivere per me sono in fondo la stessa cosa. Che dipinga o che scriva, io perseguo il medesimo scopo, che è quello di raccontare delle storie”.
[…]
“La guardia restò in bilico, poi: – Sa cosa le dico? Si arrangi. Io non so niente, io non ho visto niente. Se poi capita qualche grana se la spugnerà lei.”
Abbasso le tessere, evviva le storie.



