C’era una volta una pagina bianca…
“Una storia molto in ritardo”
Marianna Coppo
Terre di Mezzo
“C’era una volta una pagina bianca” è come comincia il libro di cui vi parlo, ma è anche come comincia generalmente la mia giornata e probabilmente, almeno ogni tanto, anche la vostra perché non serve essere necessariamente disegnatori per avvertire quella piccola vertigine e quel generale senso di smarrimento davanti a un nuovo inizio. Allora potete scegliere: potete essere “quello rosso”, impaziente e nervosetto ma fondamentalmente inerte; potete essere “quello con gli oCChiali” che forse non sarà proprio un fulmine ma, in fondo, vorrebbe vederci chiaro; oppure potete essere “quello rosa” (ma potremmo dire anche “quello piccolo”), ma per lui bisogna spendere qualche parola in più.
Partiamo con l’attribuire a ciascuno le sue responsabilità: quella pagina bianca ce l’ha messa davanti Marianna Coppo, autrice e illustratrice di questo albo che mi piace perché, oltre a essere pieno di bestioline, è un’idea semplice che fa capire al volo un aspetto del processo creativo, ma dà anche un pizzicotto a una nostra cattiva abitudine nella vita di tutti i giorni. Che siamo adulti o bambini, ci è capitato di sicuro di adagiarci passivamente su quella pagina bianca in attesa che qualcosa o qualcuno la cominci, sollevandoci dal peso di fare noi il primo segno, il primo passo (a volte magari perché pensiamo addirittura di non esserne capaci). Quando poi si pensa alle storie da scrivere e a chi le scrive per mestiere, sono in tanti a idealizzare la figura del creativo immaginandolo come un illuminato colpito ripetutamente da folgorazioni improvvise che a noi, poveri profani, non possono capitare. E invece no. Semplicemente il creativo è colui che ha deciso di essere “quello rosa”.
“Quello rosa” ha voglia di giocare. Poco gli importa di questo tono che si danno tutti, neanche fossimo sul palco ad aspettare Godot. “Uffa… che noia!” dice, girando le spalle agli altri che sanno benissimo che sulle pagine ci stanno le storie e sono convinti che ne stia per arrivare una. Ma la storia tarda, l’attesa si riempie di chiacchiere di circostanza e di sguardi ostinatamente rivolti verso il giropagina successivo. Io a volte sono stata “quello azzurro” che, spaventato da un cambio di programma, si preoccupa che la storia arrivi proprio quando si è deciso di abbandonare il presidio per andarla a cercare. Nel frattempo “quello rosa” ha deciso, senza troppo rimuginare, che giocherà per conto suo disegnando, un pezzo alla volta, un florilegio di amici, piante, avvenimenti, reazioni a catena buffissime: nell’albero di tutti i frutti i pinguini hanno messo su casa, i brontosauri sanno spingere le altalene e gli unicorni si arrampicano sui rami più alti. E ditemi se non è una bella storia! Per fortuna anche il resto del gruppo, progressivamente, se ne accorge e si lascia coinvolgere perché, ammettiamolo, iniziavano ad annoiarsi pure loro.
Marianna Coppo, con un umorismo delicato che i suoi personaggi indossano come un perfetto costume di scena posa dopo posa, sceglie pochi segni e un brulicante crescendo di colori zuccherini per accompagnarci alla fine di questo libro (che è un libro circolare). Non mi stupisce aver scoperto che le piace Shinsuke Yoshitake (ve lo avevo portato con il suo “Non si toglie!” durante l’ultimo webinar con Davide Calì, vi ricordate?) che, come lei, disegna dei veri e propri sketch comici che sembrano quasi animati.
Insomma, inutile aspettare che le cose arrivino dal nulla. Da quel nulla è molto più produttivo cercare di cavar fuori qualcosa, passo dopo passo (ogni arcobaleno pastellato ha bisogno prima della sua nuvola carica di pioggia per sbocciare, dopotutto). La storia (anche la nostra) si fa così, prendendo confidenza con quella pagina bianca che è una nuova giornata, una nuova strada da prendere, una nuova dimensione da abitare.
E la storia che tanto attendevano i protagonisti quindi è davvero Godot che non arriva mai? Sbagliato: le storie sono molto più affidabili e arrivano sempre, magari un po’ in ritardo per colpa di un postino sbadato. Ma, a quel punto, la consegna diventa uno scambio e anche noi abbiamo maturato qualcosa da condividere e non solo da pretendere.