Wonder Trio: Voglio essere un bambino vero!
Prima ancora di decidere se volevano diventare ribelli o meno, i bambini e le bambine erano “solo” meravigliosamente bambini e bambine. Non straordinari, non eroici, non esemplari magari, ma veri sì. Qualcuno cercava di renderli “più bambini”, edulcorando o ricorrendo a insidiosi stereotipi (che sono sempre trappole maledette anche per noi grandi). Pinocchio è stato uno dei primi a rivendicare il desiderio di diventare un bambino “vero” (anche se poi lui, per esempio, ribelle lo era fin da subito, questo è certo) mentre un po’ di letteratura per l’infanzia stantia ci ha indotti a sostare impigriti su idee di bambini lontane nel tempo, circondati da oggetti antiquati, dotati di un linguaggio che scimmiotta l’infanzia invece di buttarcisi dentro anche solo per vedere come ci si sta. Che fastidio (quando ce ne accorgiamo e magari quando ci caschiamo anche noi in prima persona), lo stesso fastidio che mi viene quando vedo i grandi imitare il loro modo di disegnare con la presunzione di fare qualcosa che dovrebbe essere, non so, più poetico forse.
Qualcuno invece, prima di raccontarli, li ha osservati per distillare quel concentrato di autenticità e restituirlo con la giusta distanza e misura. E mi si riempiono gli occhi di entusiasmo e il cuore di sollievo quando incappo in questi libri che parlano di “bambini veri”. In questo wonder trio vi assicuro che, se anche poco poco avete a che fare direttamente con i bambini, sfogliando quelli illustrati nei 3 libri di oggi sarete in grado di riconoscerli, avrete la sensazione di averli già incontrati oppure vi verrà tanta voglia di farci amicizia. Sono alcuni bambini, non tutti, non “i soli veri bambini”, sono unici e allo stesso tempo universali, sono dichiaratamente bambini e io gli credo. E adesso ve li presento.
#1
Ho fatto appena in tempo a dire che i “bambini veri” bisogna osservarli da una giusta rispettosa distanza ed ecco che Gabriele Clima e Giacomo Agnello Modica mi invitano a un vero e proprio safari dove mi si promette una delle più belle sfilate di esemplari infantili allo stato selvatico. Sì, “Il bimboleone e altri bambini” è in qualche modo un catalogo, ma non ha nulla di didascalico e ci meraviglia, pagina dopo pagina, proprio come quando camminiamo nella natura e a un certo punto non sappiamo più dove guardare tanta è la bellezza che ci sboccia vicino. C’è appunto il bimboleone, ma anche il bimbolucertola (una delle mie illustrazioni preferite), il bimbozanzara, il bimbofarfalla,… Non ci guardano mai, sono troppo presi dalla loro natura bambina per preoccuparsi di noi lettori, così possiamo aggirarci indisturbati nel loro habitat. La voce leggera e gentile di Gabriele Clima ci invita a prestare attenzione a come sono fatti: il bimboriccio punge, il bimbogatto è un po’ selvatico e un po’ coccolone,… chissà quanti altri bimbianimali i piccoli lettori tireranno fuori da questo libro, magari raccontandosi un po’ o forse anche solo per giocare a “facciamo che io ero…”. Non è scontato poi che, accanto all’invito ad osservare, ci sia anche un altro invito, rivolto a chiunque voglia familiarizzare con questi esemplari di bambini (e non, come dicevamo, bambini esemplari): l’invito a renderli felici. Le illustrazioni di Giacomo Modica sono un omaggio all’illustrazione classica ben disegnata (con tinte e campiture dal sapore anche un po’ anni ‘50), freschissime nel guizzo espressivo dei protagonisti, con una conclusione di una tenerezza così sfacciata che mi ha fatto un po’ commuovere.
#2
Chissà che bimboanimale sarebbe Antonio, protagonista dell’albo scritto da Susanna Mattiangeli e illustrato da Mariachiara Di Giorgio. Non è facile dirlo, “a vederlo così, senza niente intorno, è un bambino e basta”. Ma come molti di noi, Antonio è chiamato a indossare i panni del figlio, del nipote, dell’alunno, dell’atleta,… Ogni vestito si porta dietro una storia diversa di cui Antonio è indubbiamente protagonista (magari a volte anche suo malgrado) e che ci rivela qualcosa di lui.
Realtà e fantasia si mescolano senza paura e non ci stupisce vedere Antonio accovacciato sul dorso di una balena bianca in mezzo al mare, col naso immerso nelle pagine, perché Antonio lì è un lettore. E non facciamo finta che non piacerebbe pure a noi essere invitati a pranzo dalla regina per far vedere che saremmo dei sudditi perfetti, anche se ci dondoliamo sulle liane tra una fermata dell’autobus e l’altra.
È un zigzagare continuo, questo libro, tra noi e Antonio, noi che ci immedesimiamo subito e magari ci ricordiamo il peso delle aspettative che certi ruoli ci hanno fatto subire, ma per fortuna ci ricordiamo anche lo slancio dell’infanzia che, selvaggia, prende il sopravvento e trova spazi tutti suoi per esprimersi. Che Antonio sia un bambino “vero” lo vediamo fin dalla copertina: in quella coreografia di pose c’è tutto quel miscuglio di tensione, goffaggine, disordine e bellezza che si ha alla sua età. Ma se non siamo ancora convinti, basta seguire la voce narrante che sembra proprio conoscerlo bene dal momento che ci rivela anche i suoi momenti più in ombra, i suoi abissi più fantasiosi, i suoi sogni, i suoi difetti. L’eccezionalità non è qualcosa di esibito, di plateale: Antonio è speciale tanto quanto lo sarebbe qualunque altro bambino agli occhi di chi gli vuole bene.
#3
E poi c’è anche una bambina, Alison, che sa fare un mucchio di cose, tutte da sola.
“Tutto da me” di William Wondriska è un vero e proprio manifesto programmatico a misura di bambino. Alison elenca senza nessuna esitazione tutte ma proprio tutte le cose che compongono il suo curriculum e che dice di saper fare. “Dice”, perché in effetti Alison è proprio una “bambina vera”, fotografata, ma si muove in uno spazio astratto composto da lettere e forme in cui a un certo punto le coordinate spazio-temporali vengono fatte saltare in aria quindi chissà se poi tutte quelle cose le sa fare per davvero. Anche io sono stata una Alison che con quella buffa vanità e anche un po’ di ingenua arroganza si beava di aver conquistato, giorno dopo giorno, una porzione di mondo sempre più ampia e ci teneva a farlo sapere a tutti. Il mix grafico di font, foto e disegni stabilisce non solo il ritmo narrativo (in quella che una vera e propria storia non è), ma soprattutto il peso e il volume della voce che ci sta parlando. Wondriska, protagonista indiscusso del graphic design americano del secondo dopoguerra, ci aveva già abituati a questo uso del lettering se pensiamo per esempio al suo “Il suono delle cose”, dimostrando come la grafica tutta si trasformi in un apparato strategico funzionale alla comunicazione senza dover per forza stabilire dei binari rigorosi su cui far viaggiare un registro visivo o l’altro.
Alison certe cose le grida, certe altre le sussurra, altre ancora ce le rovescia addosso senza quasi prendere fiato. Alcune sono cose quotidiane, altre sono imprese decisamente improbabili, ma chi siamo noi per contraddire quel tipino risoluto che ha iniziato il libro con un deciso e incontestabile “IO SO” e ci porta in fondo addirittura con una ambiziosa promessa per il futuro, ovvero quella di diventare grande e di farlo “tutto da sé”?
Gabriele Clima, Giacomo Agnello Modica
Edizioni Corsare, 2019
Susanna Mattiangeli, Mariachiara Di Giorgio
Il castoro, 2018
William Wondriska
Corraini, 2010 (prima edizione originale: 1963)