Wonder Trio: 3 libri per Venezia, per stare più vicini ai cuori in tempesta.
La rubrica “Wonder Trio” è nata per raccontare attraverso i libri un po’ di quel “pensare collegato” che contraddistingue il mio (ma vorrei dire il nostro, perché molti lettori qui sanno di cosa parlo) modo di muovermi quando faccio ricerca, quando progetto qualcosa. Nei terzetti suggeriti fino ad ora, i libri si chiamano a vicenda (non solo per ragioni tematiche) suggerendo percorsi e invitando, più che alla riflessione, alla scoperta e all’esplorazione. I libri forse non possono fare molto quando si è costretti a rispondere alle emergenze pratiche e faticose del quotidiano, ma servono di sicuro a tenere in circolo le idee, a conservare la memoria, a suggerire nuovi slanci di pensiero e sentimento. I libri ci offrono occasioni per conversare, per ribadire, per inventare, per fare in modo che le cose non scompaiano.
Ed ecco perché, con l’abbraccio di tutta la redazione di AdunTratto stretto attorno, questo Wonder Trio è per Venezia, affaticata, delusa, in pericolo, sulla quale i riflettori non dovrebbero spegnersi.
#1
Partire nelle esplorazioni con l’idea di smarrirsi non sembra proprio un buon programma, soprattutto per una come me, priva di senso dell’orientamento, ossessivamente appesa alle indicazioni di Google Maps. Ma rompere gli schemi è spesso il modo migliore per superare i limiti e io preferisco sempre farlo con una certa dolcezza, aprendo i lucchetti con una forcina piuttosto che spaccandoli con un martello. Ecco perché ho deciso di inaugurare la nostra gita libresca a Venezia fidandomi e salendo sul cannone della bici di David Pintor, o meglio del suo personaggio protagonista di “Venezia”, carnet de voyage muto, vincitore del premio Rodari-Omegna 2017. Mi piace questo tizio: si muove sempre con il blocco schizzi alla mano, suona persino il violino, pare abbia in simpatia i gatti. E poi quella bici lì sembra capace di muoversi attraverso l’acqua dei canali con la stessa naturalezza con cui si arrampica per tetti e balconi e, laddove il mezzo non arriva, ci pensano i piccioni a sollevare con garbo il viaggiatore, non dimenticando di trasportare anche la sua borsa.
Pintor lascia alle parole solo lo spazio di una breve prefazione per poi abbandonarsi a questo susseguirsi di cartoline in punta di pennino e dalle atmosfere rilassate (alcune le ritroveremo non rilegate come regalo in fondo al libro). Le architetture e i luoghi sono riprodotti con cura meticolosa e sono perfettamente riconoscibili, ma la danza leggera del personaggio in gita, e i piccoli accorgimenti surreali del suo muoversi nello spazio, sospendono la città in un tempo mentale di dolce resa. Ci si arrende alla vista mozzafiato dei campanili al tramonto, ci si arrende al richiamo del vicinato che stende i panni alle finestre, ci si arrende alla suggestione dell’acqua che un po’ culla e un po’ avvinghia fino a confondere l’orizzonte reale con quello immaginario.
A sospendere ulteriormente il tempo della narrazione forse è anche l’assenza di gente (inusuale per una città come Venezia) in queste tavole che nascono da molti appunti presi sul campo, ma rielaborate poi con calma in studio dall’autore. Mi piace definire questo libro un perfetto “souvenir”, nel modo però in cui lo intende Lorella Barlaam nell’omonima antologia minima (edita da Guaraldi, 2014) che parla proprio delle cose che “sub-veniunt”, che ci fanno da spalla, il cui brusio ci parla molto più in profondità di quanto sembri.
#2
Ben diverso è il modo di comporre l’itinerario di Enrico Casarosa: nel suo “Cronache veneziane” l’ordine collassa e si scioglie tra le dolci derive dell’acquarello, il più delle volte steso in presa diretta sul posto. C’è tanta abilità pittorica che quasi si nasconde con pudore dietro all’umorismo da manga grottesco, in queste pagine che mettono Venezia al centro, ma passano anche per Santa Fè e Genova (città d’origine dell’autore).
Casarosa ha il disegnare nel Dna e ce lo dimostra il suo ormai consolidato percorso da regista e animatore che conta successi internazionali come il corto “La luna” realizzato per la Pixar, con cui ha ricevuto la sua prima nomination agli Oscar. In questo libro però il registro è inequivocabilmente personale, senza filtri se non quelli della propria coscienza, spesso trasfigurata nei due buffi angeli custodi in continuo dibattito. Non c’è gerarchia tra ambientazione e personaggi, la città stessa sembra un personaggio all’interno delle vicende raccontate da Casarosa che sono intime, romantiche, che parlano di incontri, sfide e progetti di vita importanti. Gli incontri sono quelli con Ivo Pavone, disegnatore che lavorò al fianco di Hugo Pratt che proprio a Venezia (nel borgo di Malamocco) inaugurò un denso ciclo di attività con altri colleghi e di Silvina, la figlia di quest’ultimo. Ma sono anche gli incontri del cuore dell’autore che intraprende il viaggio con la sua ragazza e che ci racconta, appunto, la sua storia d’amore (per nulla fuori luogo, direi, per il libro dedicato a quella che è una delle città più romantiche del mondo).
Non aspettatevi un viaggio didascalico, quindi. Venezia è descritta, certo, e rappresentata con assoluta cura e freschezza, ma il ritmo è discontinuo e veloce (tipico del flusso di coscienza). Insomma, preparatevi ad alternare tuffi nel canale a tuffi al cuore. Deliziose, tra le varie derive, quelle che ci portano a curiosare anche fuori dal libro seguendo citazioni e link che l’autore ci appunta qua e là. Una delle mie preferite è quella dedicata alla sketchcrawl (sketchcrawl.com), la maratona disegnata da svolgere in 24h che segna una delle giornate veneziane di gita condivisa e forse un po’ rilancia anche a noi l’invito ad attraversare una città con i mezzi espressivi che abbiamo, in modo da fissarne l’impatto emotivo e non solo visivo che ci può regalare.
#3
Nelle “Cronache veneziane” si fa notare che Venezia, vista dall’alto, ha la forma di un pesce. Ad aprirci un ulteriore livello di lettura però arriva Manuele Fior con la sua “Celestia” che ha la forma di due mani che si stringono. Anche se hanno un nome diverso, anche se il modo di guardare (e soprattutto raccontare) è differente, siamo davanti alla stessa città. Si chiude il nostro itinerario tra i canali di Venezia con quella che non è solo una storia, ma una visione: in un futuro distopico, percorriamo le zone d’ombra di questo luogo che da magico (come già ci avevano suggerito i libri precedenti) diventa mistico.
Questa volta la narrazione è ben strutturata e quasi sembra gettare le basi di una nuova mitologia, quella dei telepati in fuga e in cerca. Di cosa? Il primo libro, uscito quest’anno per Oblomov, ci rivela poco più che qualche indizio e ci presenta dei personaggi dal cuore in tempesta che, proprio come Venezia, rischiano di finire spesso in apnea per colpa dell’acqua alta che gli inonda i pensieri. Pierrot, il protagonista, e Dora, la donna misteriosa, si ritrovano, loro malgrado, compagni di viaggio e si aggirano per canali avvolti nell’oscurità, passaggi segreti e tizi poco raccomandabili. Dora ha fame e ha paura dei gatti (che vede dappertutto anche se noi non li vediamo mai); Pierrot baratterebbe anche l’ultima mela pur di avere qualche altro libro. I due sono connessi e non soltanto dalle loro speciali qualità grazie alle quali intercettano i pensieri e i ricordi degli altri.
Fior ambienta questa storia omaggiando una città che ama molto, dove ha trascorso una buona parte di vita (durante gli studi in architettura prima che il disegno diventasse mestiere), la battezza con un nuovo nome per garantirsi nuovi margini di manovra (come dichiara in una bella intervista di ampio respiro uscita di recente su Fumettologica). Venezia diventa in modo quasi naturale il teatro di questa avventura che, proprio concedendosi delle licenze fantastiche, finisce per catturarne scorci e peculiarità in modo vivido e appassionato. Solo chi conosce e ama profondamente qualcosa può sentirsi addosso il coraggio e la motivazione giusti per affondarci le mani. Solo un luogo prezioso e unico nel suo genere può ispirare generazioni di artisti e di narratori attraverso secoli di storia, senza mai stancarci di vederlo “messo in scena”. Come andrà a finire? Non lo sappiamo e Fior, per la sua “Celestia” ce lo rivelerà solo nel secondo volume. A me piace pensare che, nonostante il suo Pierrot fugga davanti al pericolo delle emozioni (“Guai a diventare sentimentale!”), quella strana complessa incredibile città ha pur sempre la forma di due mani che si stringono.
David Pintor
Kalandraka, 2017
Enrico Casarosa
Rizzoli Lizard, 2012
Manuele Fior
Oblomov, 2019