
Quando crollano le certezze – Continuare a lavorare senza la BCBF
IN QUESTO LUNGO anno di pandemia ho osservato nelle persone due atteggiamenti principali:
- quelli che pensano che tutto tornerà come prima;
- quelli che si sono rassegnati al fatto che niente sarà più come prima.
Dal punto di vista lavorativo, mi sembra che ognuno di questi due atteggiamenti si sia declinato in due ulteriori sfumature:
- quelli che non hanno fatto nulla, in attesa che finisca tutto, per poi ricominciare (tutto come prima o ricominciare nel nuovo mondo che ci sarà);
- quelli che si sono dati da fare comunque.
Credo che riflettere su queste possibilità sia importante nel momento in cui un appuntamento fondamentale per il nostro lavoro, come la BCBF, viene cancellata per il secondo anno di seguito.
Che cosa facciamo? Ci fermiamo? Aspettiamo la prossima? Cerchiamo un’alternativa?
LA MIA POSIZIONE
Prima di cominciare questa dissertazione, voglio precisarvi la mia posizione.
Io sono tra quelli che pretendono che il mondo torni come prima. Non ho voglia di pensare che sia normale stare chiusi in casa e portare la mascherina ovunque. Non mi sono rassegnato a questo e lo ritengo inaccettabile. Vi risparmio le mie opinioni polemiche sulla gestione dell’emergenza sanitaria, perché so che potete farne a meno, e soprattutto perché questa non è la sede per discuterne.
Appartengo anche alla categoria di quelli che non si sono fermati e che hanno continuato a lavorare, spesso prevedendo, per alcune cose, due possibili modalità. Per esempio, questa estate, farò diversi workshop. Stiamo organizzando tutto in presenza, ma se saltano per ragioni sanitarie, ci sarà un’alternativa (salvo che per i residenziali, perché non posso immaginare di barattare una settimana al mare o un week end in montagna, con un corso online).
LE ALTERNATIVE
Veniamo al dunque: esistono alternative alla BCBF?
Allo stato attuale, secondo me, no.
La fiera è un momento di incontro professionale e conviviale. Personalmente non credo nell’alternativa digitale. Non ci credo per la parte pro, perché un luogo virtuale dove incontrare le persone per discutere di business esiste già, e si chiama semplicemente internet, con tutte le sue piattaforme, chat e social.
Un luogo unico di incontro organizzato da una fiera, al quale posso accedere a pagamento, per me, non aggiunge nulla a quello che ho già, gratis.
Senza togliere il fatto che in presenza in fiera si sono sempre fatti appuntamenti di 15 minuti, con i meeting a distanza, per quello che ho visto quest’anno, non è possibile tenere ritmi così serrati.
Poi ci sono le mostre. Penso che con la sovrabbondanza di illustrazione che trabocca da ogni social, sia impensabile immaginare delle mostre di illustrazione su un sito. Per 9mbreinlibro ne ho curate 9, con la collaborazione di Simone Sbarbati di Frizzifrizzi per l’allestimento grafico, ma ne abbiamo inaugurata una al giorno, per 9 giorni, poi le abbiamo rimosse. Pensare di esporre centinaia di tavole di artisti diversi, oppure una grande monografica, mi sembra invece improponibile. Io almeno, non provo nessun desiderio di vederle.

L’aspetto che forse può trasferirsi più facilmente sul web è quello delle conferenze. Ma confesso di non averne mai seguite quando andavo in fiera e, per quel che ho visto negli anni, di averle trovate egualmente noiose, sia in presenza che sul web (per cui non escludo che qualcuno possa trovarle egualmente interessanti).
Rimane l’aspetto conviviale e soprattutto l’incontro casuale: il bello di una manifestazione come la BCBF è che camminando per i corridoi e tra gli stand incontri il mondo e, per quanto oggi i social avvicinino tutti, alle volte da quell’incontro casuale, anche per chi è un esordiente, può nascere un’occasione di lavoro.
Nel peggiore dei casi, fai vedere il tuo portfolio a qualcuno al quale non oseresti chiedere un parere inviandoglielo per email, o che forse per email non troverebbe il tempo di risponderti. Ecco, questo aspetto, credo che non possa essere riprodotto in digitale, almeno non nelle proporzioni della BCBF che conosciamo.
Poi, è vero, ci sono stati e ci saranno tanti esperimenti. Io ho lanciato l’idea e in parte curato 9mbreinlibro. Aduntratto ha organizzato #1metrodallafiera (che torna tra poco con una nuova edizione). Ma si tratta di piccole manifestazioni di ripiego, realizzate praticamente a zero budget. Se mi capita, ne organizzerò ancora, o parteciperò se mi invitano, ma la BCBF è un’altra cosa.

CONTINUARE SENZA LA BCBF?
A questo punto cosa facciamo? La cancellazione della fiera credo sia una tragedia, soprattutto per chi comincia a muovere i primi passi nell’editoria.
Come fare a far vedere i propri progetti, avere un parere, un consiglio?
Per me che ci lavoro da anni, devo confessarvi che la fiera ha perso di importanza diversi anni fa. Ormai tutti mi conoscono, frequento perlopiù l’editoria francese con i suoi numerosi saloni e a Bologna ormai andavo solo a salutare gli amici. Negli ultimi anni ci sono stato per conto dell’agenzia per cui lavoro, per presentare vari progetti, ma se devo essere sincero, quasi mai sono tornato da Bologna, con qualcosa di concreto in mano. Tanti complimenti, l’interesse di tanti editori, ma quasi nulla, se non molto all’inizio, si è veramente concretizzato nell’immediato dopo fiera. Se è successo è perché ho continuato a lavorare.
Attenzione, dopo aver elogiato l’unicità e l’importanza della BCBF, non voglio adesso sminuirne l’importanza, però in questo lavoro sono importanti tanti aspetti. La perseveranza è uno di questi. La parte di lavoro che fai da casa è fondamentale, per non perdere i contatti, per capire se un progetto può realmente prendere forma e come. E negli anni, questa parte di lavoro si è ingigantita al punto che ormai, per quello che mi riguarda, il business si fa tutto l’anno, in tutte le stagioni. Quasi tutti ormai lavorano anche di domenica o ti rispondono nei giorni di festa. Per cui, io vendo progetti in primavera come ad agosto, durante la settimana o di domenica.
Ho venduto libri, sia miei che dell’agenzia, anche durante il primo lockdown della primavera 2020. Per cui la BCBF è indispensabile, ma al tempo stesso, penso che per andare avanti dobbiamo pensare che possiamo farne a meno.
Questo non significa, che quando torneremo ad abbracciarci e a frequentare eventi in presenza, la BCBF non servirà più, anzi, sarà bellissimo ritrovarla e ritrovarci tutti lì a bere pessimo caffè.
QUANDO IL MONDO CROLLA
A questo punto vi tocca ascoltare l’aneddoto edificante da grande vecchio (lo sapete, i vecchi raccontano sempre aneddoti edificanti).
Da che ho memoria, il mondo è crollato diverse volte. Ma quella che ho risentito di più, in merito al mio lavoro, è stata all’inizio della mia carriera.
Sono cresciuto leggendo tantissimi fumetti, che compravo soprattutto in edicola. Quando ero ragazzo uscivano molte riviste contenitore, come L’Eternauta, Pilot e Métal Hurlant, che pubblicavano perlopiù fantascienza, mentre su Orient Express, Comic Art e Corto Maltese c’era l’avventura (ma Comic Art era molto varia). Blue pubblicava il fumetto erotico, Alter Alter quello alternativo. Poi ne ricordo varie che sono comparse e scomparse in breve tempo come Nova Express, Cyborg. Il boom delle riviste durò un periodo relativamente breve, circa dieci anni. Dalla fine degli anni 70 all’inizio dei 90 (poi, ovviamente, c’erano state anche molto tempo prima, per esempio Sgt. Kirk negli anni 60). Io vissi quel decennio concentrato in 4 o 5 anni, perché mentre compravo quelle che uscivano in edicola, ne compravo anche sulle bancarelle dell’usato, alimentando così, nella mia immaginazione, un mondo che non era esattamente quello reale, perché era la somma del mondo attuale e di quello passato, anche se da pochi anni.
Quindi: le riviste c’erano, ma erano meno di quelle che leggevo e soprattutto si succedevano rapidamente l’una all’altra, per cui c’erano una ricchezza e una varietà inferiore rispetto a quella che percepivo. All’epoca, se anche avevo capito che talvolta le riviste chiudevano, non me ne preoccupavo. Ritrovavo spesso gli stessi autori che mi erano piaciuti su una rivista, su un’altra. E così immaginavo avrei fatto io. Sarei passato con disinvoltura da una all’altra, come facevano Giardino, Pazienza e Altuna, che io ammiravo moltissimo.
Una cosa che non sapevo però è che la maggior parte di quelle riviste era, economicamente parlando, appesa a un filo. I cambi di redazione e di casa editrice, le sparizioni seguite da un rilancio non erano occasionali. Dietro l’aspetto patinato e la cura per le storie e gli articoli, le riviste covavano una crisi imminente e tutto precipitò a cavallo tra gli anni 80 e i 90, cioè quando io finivo la scuola. Aspettavo con ansia il momento in cui avrei potuto lavorare a tempo pieno ai miei fumetti e quando arrivò, il mondo al quale mi ero preparato per anni, all’improvviso, sparì. Vi garantisco che fu un colpo micidiale.
Sono rimasto a lungo speranzoso che aprissero altre riviste e nel corso degli anni 90 è anche successo. Collaborai per 14 anni con Linus, feci qualche apparizione su Tank Girl, il magazine che portò in Italia il personaggio di Hewlett e Martin e poi varie altre di cui nemmeno mi ricordo. Ma nel frattempo mi cercai delle alternative. Ho fatto illustrazioni per giornali vari, manifesti, ho scritto pubblicità, ho fatto un po’ di tutto insomma. Finché la svolta non avvenne un po’ per caso, quando scoprii gli albi illustrati per bambini che facevano i francesi e pensai che non erano lontani da tante cose che avevo in testa. E mi ci tuffai.
Il resto della storia lo conoscete. Ho continuato a fare fumetti in Francia, sui magazine (sia per bambini che per adulti) ma soprattutto mi sono affermato come autore di albi, esplorando un mondo nuovo e diventandone anche un po’ innovatore. Fatta mia la lezione di grandissimi, come Tomi Ungerer, ho portato in un universo narrativo lo humour e la fantasia che avevo coltivato per un altro. Negli anni, ho messo da parte il disegno, che pure era stata la mia più grande passione fin da bambino, scoprendo che come autore ero molto più originale e ricercato.
Non ho mai perduto il mio amore per le vecchie riviste, che di tanto in tanto, risfoglio con nostalgia, però nel frattempo ho capito che il mondo cambiava e ho seguito un po’ la corrente per capire dove mi portava.
Fine dell’aneddoto edificante.
LA VITA È COME UNA SERIE TV
Secondo aneddoto edificante (ma molto più breve).
Chi pensa che io sia nato come un pesce abituato ai grandi mari e a cavarsela sempre, sbaglia. Penso di essere nato pesce da acquario, un po’ come tutti.
Nel frattempo però, ho viaggiato molto ed è stato soprattutto viaggiare con Trenitalia che ha cambiato il mio modo di vedere il mondo.
Sì perché, in un paese normale, tutto è normale, anche prendere il treno per spostarsi da un punto A a un punto B. In Italia no.
Per anni ho viaggiato con l’ansia di perdere una coincidenza e arrivare in ritardo. Poi è scattato qualcosa. Con il tempo ho imparato a saltare da un treno in ritardo a un altro, come Tarzan nella giungla, e a un certo punto il viaggio è diventato uno sfondo, non lo scopo principale. Ovviamente, ancora adesso se parto verso una destinazione, ho piacere di arrivarci, possibilmente prima di cena, ma nel frattempo approfitto di una bolla temporale in cui posso leggere, scrivere, lavorare. Il fatto di non avere sempre a disposizione il wifi (soprattutto in aereo) è spesso un vantaggio, perché se è vero che all’arrivo avrò più mail da smaltire, è anche vero che nel frattempo mi sono ricavato un paio d’ore di vuoto assoluto in cui scrivere e basta.
E se il treno è in ritardo? Pace, prenderò quello dopo. Se non ce n’è? Cercherò un posto dove dormire. E se non c’è la presa per ricaricare il computer? Spengo e apro un libro. E se non ho più niente da leggere? Apro un quadernino e disegno oppure scrivo una canzone o invento un gioco. E se va via anche la luce? Dormo. Con questa disposizione d’animo, mi sono passate tutte le ansie (anche se ho un sogno ricorrente: devo prendere un aereo ma non trovo le scarpe. Una volta ho persino sognato che non trovandone infilavo i piedi in due sogliole, ma ero molto scontento).
Tutto questo per dirvi che per vivere bene, secondo me, dobbiamo prendere le cose un po’ come vengono. Che non vuol dire rinunciare ai propri sogni e alle proprie aspettative o diminuire le proprie pretese.
Vuol dire semplicemente, saper improvvisare un po’.
ALLA FINE penso che la vita vada vissuta un po’ come la scrittura di una serie a fumetti o di una serie TV. Voglio dire: quando Marvel Comics introdusse il personaggio di Wolverine, non avevano idea di quello che sarebbe successo dopo. Era un comprimario, uno di quelle centinaia di characters che compaiono in un numero e poi spariscono. Ma dopo la comparsa di Wolverine accadde qualcosa. I lettori scrissero. Wolverine era piaciuto. Lo volevano ancora.
Quando Kaley Cuoco venne introdotta in Big Bang Theory nel ruolo di Penny, nessuno sapeva che la serie avrebbe fatto 12 stagioni e tanto successo e credo che non avessero previsto la crescita del personaggio e tutta la sua evoluzione nel rapporto con Leonard (in principio la Cuoco era stata addirittura rifiutata per il ruolo e solo successivamente ripescata). Ma il personaggio ha funzionato, ha funzionato con il gruppo, ha funzionato la serie, e sono andati avanti.
Ecco, per andare avanti dobbiamo essere bravi nel saper cogliere le occasioni e soprattutto approfittare delle carte che abbiamo in mano per giocare.
Così come gli sceneggiatori di una serie scrivono gli episodi anche in funzione dei cambiamenti che avvengono nella vita reale degli attori (chi si rompe un braccio, chi rimane incinta, chi litiga con la produzione e se ne va) così anche noi dobbiamo continuare a scrivere la nostra sceneggiatura qualsiasi cosa ci succeda intorno.
Fine del secondo aneddoto edificante (alla fine era solo di poco più breve).
SEGUIRE LA CORRENTE
E quindi, se il senso è seguire la corrente, dove ci porta la corrente adesso? Non lo so. Al momento confesso che vedo un futuro molto nebbioso. Ma non credo che improvvisamente le nostre navi precipiteranno nel vuoto perché la Terra è piatta.
Dobbiamo solo capire come andare avanti e il primo modo per farlo è non perdersi d’animo, non pensare di aver perso l’occasione della vita solo perché abbiamo perso una fiera. Da grande fan delle liste, vi suggerisco di farne una.
Scrivete in colonna tutte le cose importanti che avreste fatto in fiera e poi, per ognuna, cercate una valida alternativa.
Esempio:
- Volevo incontrare Miguel Tanco
- Volevo far vedere il mio lavoro a Takatuka
- Volevo incontrare i miei amici
- Volevo dire a Marco Somà che è bravo (peccato per quell’autore con cui lavora adesso, com’è che si chiama? Ah sì, Dante Alighieri)
- Volevo vedere le novità di Logos
- Volevo rubare una borsa della Barengo allo stand di Kite
- Volevo comprare un panino al salame caro e che non sa di niente
Aggiungete pure i vostri “volevo” liberamente.
Mentre ragionate a come realizzarli, cercate di pensare in grande, coinvolgendo anche gli altri. Ripartiamo da qui, dall’idea di fare qualcosa insieme agli altri. Se anche non ne verrà fuori una mega-fiera, probabilmente riuscirete a creare qualcosa che non c’era e, in questo periodo di privazione di libertà, credo che qualsiasi pensiero libero sia già una grande conquista.
SE AVETE VOGLIA di chiacchierare ancora su questo tema, con Marianna Balducci faremo due webinar dedicati alla “Fiera che non c’è”.
Parleremo un po’ dello stato dell’arte, di quello che è successo l’anno scorso, di come l’emergenza sanitaria ha impattato sul nostro lavoro, ma anche di come ripartire, con consigli pratici per i marinai che non vogliono smettere di solcare il mare dell’editoria.
