L’esperienza profonda dentro un film d’animazione – The shape of voice

Può un film di animazione essere una vera propria esperienza?

Nello scorso articolo Sull’onda dell’animazione – studio Ghibli e Kanagawa siamo approdati in oriente e rimarremo qui anche per questa puntata.

The shape of voice (La forma della voce) ci regala questo. Un’esperienza molto profonda, che non comunica con un linguaggio comune, già consolidato e largamente utilizzato, ma che esplora, utilizzando le immagini (ovviamente) i suoni , che ci permettono una totale immersione in una cultura differente dalla nostra, ma che risuona nel nostro petto come un colpo di martello.

Si perché le immagini e i suoni non sono solamente un contorno, un contenitore per la storia, ma sono essi stessi parte integrante della pellicola.

Ma andiamo a scoprirlo assieme The shape of voice si apre con il protagonista, Shoya Ishida, che tenta il suicidio.
Okay okay, ve lo concedo, non una delle migliori premesse, ma rimanete ancora un pò, vi assicuro che ne vale la pena.

Shoya rivive la sua fanciullezza ed in particolare, tutti quegli eventi che l’hanno portato a quel momento.
Da bambino con i suoi amici, prende in giro fino ad arrivare ad atti di violenza e bullismo, una ragazzina non udente della loro classe, Shoka. A seguito di quegli atti, Shoka è costretta a cambiare scuola e Shoya riceve una severa punizione.
Dagli insegnanti come bullo, dai suoi compagni come capro espiatorio, trasformandolo successivamente in vittima di atti di bullismo e dalla società, come persona che non merita considerazione.

Dovete sapere che in Giappone, le etichette che vengono date da ragazzi, difficilmente si tolgono in età adulta, accompagnando la persona per tutta la vita come una condanna.

Così Shoya, considerato come rifiuto sociale, si chiude in se stesso e cadendo in depressione. Sarà incrociando nuovamente Shoka, anni dopo, che insieme inizieranno un percorso di crescita per ricominciare a vivere.

A livello di narrazione, la storia segue un percorso lineare, pulito, dove nulla viene lasciato al caso. Ma veniamo ai suoi punti forti e perché le immagini e suoni sono così importanti.

Il punto di vista, in particolare i volti Shoya, sconvolto dagli eventi del suo passato, decide di isolarsi, escludendo gli altri per timore d’essere nuovamente allontanato e di essere artefice di ulteriori dolori.
In un primo passaggio dunque, egli porta le mani alle orecchie, in un chiaro segno di chiusura ed esclusione dal mondo.

Da quel momento, vedremo spesso e volentieri i personaggi visti dalla sua prospettiva: inquadratura di piedi o figure con delle x a nasconderne il viso.
Una censura che si impone, dal momento che guardare negli occhi gli altri è causa di sofferenza e insicurezza.

Una scelta insolita a livello cinematografico ma forte per il messaggio che porta. Noi vediamo con i suoi occhi e sentiamo tutto il disagio che egli prova, come se fosse nostro.
Lui non riesce a comprendere gli altri, diventa sordo alle parole del mondo e per questo soffre. Un mondo di suoni nascosti.

A livello sonoro invece, a parer mio è davvero unico.

Scopriamo il mondo di Shoka attraverso suoni e rumori.
La colonna sonora si colora, amalgama o viene completamente spezzata con rumori che prendono parola, a reclamare il loro spazio.
I silenzi sono rumori bianchi, la città si tinge di suoni ed effetti disturbanti, suoni che ticchettano lo scorrere del tempo e delle vicende.

Abbiamo, quindi, l’impressione di indossare l’apparecchio acustico ci Shoka. Il rumore dei bicchieri, di porte che si aprono, di pagine sfogliate, passi. Lo scorrere dell’acqua, degli oggetti poggiati a terra. Questi
sono alcuni elementi naturali, nascosti nella colonna sonora, che abbiamo sempre a portata di mano, ma straordinari nel mondo di lei.

I suoi disagi, le sue sofferenze e speranze, tutto comunicato con i suoi limiti. Non sono melodie continue ma frammenti, forme differenti che la voce può prendere.

Cosa significa essere sordi?

È la domanda che mi sono posta a fine pellicola.

Si può essere fisicamente sordi, ma anche spiritualmente sordi. Ascoltare solo la propria voce e non comprendere i messaggi che invece sono più sottili, timidi, ma che parlano, anzi urlano per essere ascoltati.

E per voi? Che significa udire il mondo?

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