L’angelo delle scarpe – Quando il proprio vissuto influenza la lettura
Gli angeli non hanno scarpe, questo lo sanno anche i bambini. Eppure nella copertina di questo libro si parla di angeli e di scarpe, insieme. Ne avevo sentito parlare, naturalmente, però le opinioni mi erano sembrate discordanti. Un libro troppo d’elite, dicevano alcuni, illustrazioni poco adatte ai bambini, scrivevano altri. Vera poesia, concludeva qualcun altro.
Così ho voluto verificare di persona. Non conoscevo la storia creata da Giovanna Zoboli, ed ero molto curiosa. Ho preso il libro e per prima cosa mi sono soffermata sulla copertina… pochi colori, disegni fatti a matita. Il segno inconfondibile di Joanna Concejo. Un modo di illustrare che suggerisce, uno stile che non ricalca il testo ma piuttosto suggestiona… il passaporto perfetto per una dimensione onirica.
Una lunga fila di scarpe correva dalla quarta alla prima di copertina… Dove mi avrebbe portato? Stavo per scoprirlo. Così l’ho aperto, non sapendo bene cosa aspettarmi. Temevo un libro cupo, davvero troppo difficile per dei bambini. E invece è successo qualcosa di inaspettato, che credo poche altre persone potevano aver provato prendendo in mano questo volume. Questo libro mi “apparteneva”, faceva parte della mia cultura, della mia infanzia, del mio vissuto. Affondava le radici nel mio essere di Firenze. Certo questa suggestione poteva averla provata solo un altro fiorentino come me, mi sono detta.
I risguardi del libro (o sguardie che dir si voglia) riportavano una serie di modelli di calzature: stivali, décolleté, zeppe, ginniche, sandali… e poi disegni anatomici del piede. Riquadri numerati, come il catalogo di un infinito studio di calzature da parte di un progettista. Avevo già visto cose del genere. Le avevo viste all’interno del Museo di Salvatore Ferragamo, un vero artista della calzatura, artigiano e stilista al tempo stesso, conosciuto in tutto il mondo. Ma profondamente connesso con la città di Firenze. Ne posso parlare liberamente senza essere accusata di fare pubblicità… non ne ha davvero bisogno!
Credo che la suggestione in più di questo richiamo abbia molto influenzato la lettura da parte mia. Mi sono subito domandata se la Zoboli o la Concejo avessero volutamente immesso questo aggancio nel loro progetto.
Non potevo credere che fosse solo una coincidenza. Così ho cominciato la lettura, sperando di carpirne il segreto. E ho scoperto che il testo si prestava a più piani di lettura, così come le illustrazioni. Ho scoperto che poteva essere letto da chiunque, ed ognuno, di qualsiasi età, poteva trovare la sua “chiave” per decodificare la storia.
Una storia che parla di sentimenti, di fatica, di lavoro e di indifferenza. Una storia che parla di solitudine, di lontananza e riavvicinamenti. Parla dell’essere padre e dell’essere figlio, due mondi che a volte fanno fatica a incontrarsi, ognuno perso nel proprio mistero. Parla anche di priorità, di stupore e magia. Ma soprattutto parla dell’infinità dei modi di essere e di vedere, rappresentati, per me, proprio dalla infinita e diversa varietà di scarpe. Per passi piccoli e frettolosi, per passi cadenzati e seriosi, allegri o lenti… Quanto ci può raccontare una scarpa! Non vi racconterò la storia, perché vorrei che ognuno di voi trovasse il proprio “richiamo interiore”. Le illustrazioni vi aiuteranno molto in questo… Sembrano quasi disegni di un’altra epoca. Sì, forse alcune immagini sono davvero troppo criptiche per dei bambini, ma questo potrebbe essere un vantaggio, in alcuni casi. Io mi batto da sempre per suggerire la lettura di testi illustrati agli adulti e questo libro potrebbe essere proprio ciò che ci vuole per favorire una lettura congiunta.
Adulti che spiegano ai bambini, ma anche il contrario, perché lo sguardo dell’uno può arricchire quello dell’altro. E talvolta riagganciare fili interrotti, e scoprire, con meraviglia, che le cose che spesso non vediamo hanno ali che possono farci volare, con o senza scarpe.