Il mondo illustrato di Rébecca Dautremer alla FAR Fabbrica Arte Rimini
Perfino le casse che trasportavano i suoi lavori le ho invidiato: rosse e importanti, sono arrivate in sordina quando ancora la città non ne parlava, ma Rimini è piccina e il web ha dato una mano a rivelare ai più attenti i primi indizi. Grandi casse rosse piene di illustrazioni bellissime. Rébecca, un po’ ci speravo che venissi a farti due passi in riviera, ma pazienza, per questa volta facciamo che va bene anche così.
La mostra di Rébecca Dautremer ha aperto sabato 16 maggio e durerà fino al 21 giugno, alla FAR (Fabbrica Arte Rimini – Palazzo Podestà, Piazza Cavour). È una delle orgogliose conquiste degli organizzatori di Mare di Libri, il Festival dei ragazzi che leggono (iniziativa insignita del premio Andersen nel 2013 e giunta alla sua ottava edizione). I giorni del Festival saranno il 12-13-14 giugno, ma i lavori sono già cominciati e la mostra di una delle più apprezzate illustratrici contemporanee è prova tangibile di un riuscito tentativo di fare rete con le istituzioni anche al di fuori del programma canonico del Festival stesso.
Con una punta di orgoglio, vedo un nuovo appuntamento che, dopo quello con le opere di Lorenzo Mattotti del 2013 e la Biennale del Disegno nel 2014, conferma un’attenzione specifica al mondo del segno e del disegno come strumento di narrazione (la mostra della Dautremer è stata presentata anche come iniziativa promossa proprio dalla Biennale riminese la cui seconda edizione è attesa per il prossimo anno). Che si tratti di un progetto duraturo o di episodici interventi, per il momento mi godo questa inaspettata vocazione della mia città e mi riempio gli occhi delle cose belle che sta portando.
Vedere le tavole originali di Rébecca Dautremer è già un piacere squisito per chi non vanta particolari frequentazioni nel mondo degli albi illustrati (perché, per fortuna, ci sono cose oggettivamente belle che si possono apprezzare anche se non si è “esperti del settore”); vederle per chi disegna, invece, innesca un ulteriore meccanismo di osservazione, più analitico e goloso nel cogliere tutti i dettagli e gli espedienti tecnici e progettuali che, per ovvie ragioni, non cogli sfogliando le pubblicazioni.
È un’esplosione di acrilici, acquerelli e matite, corposi ma morbidi; colori e pattern accesi, ma sempre molto eleganti.
Mi guardo le composizioni dal taglio più ardito e mi accorgo che l’occhio si muove proprio assecondando quel dinamismo sinuoso dei corpi allungati, dei profili esagerati ma mai grotteschi (e non è un caso che Rebecca abbia avuto committenze anche nel mondo della moda). Dal vivo vedo tutti gli strappi e le ricuciture delle tavole del suo Pollicino, noto che certe texture sono state create con la tecnica del collage che però è talmente ben applicata da distinguersi appena.
Le tavole sono incorniciate in modo ordinato, ci sono a fianco i testi delle pagine corrispondenti nelle illustrazioni estratte dai suoi libri (da “Alice” di Carrol, l’Alice di cui ricorrono quest’anno i 150 anni, a “Seta” di Baricco, il suo primo lavoro illustrato dichiaratamente indirizzato a un pubblico adulto). Ci sono anche alcuni appunti estemporanei: da uno di questi scopro che i tre quarti delle tavole del “Diario segreto di Pollicino” sono stati realizzati tutti nel solo mese di agosto (immagino si parli della realizzazione tecnica e non della progettazione… Già questo comunque mi ha fatto sprofondare in un terribile vortice di condanne feroci al mio di lavoro a cui nessun disegnatore si sottrae quando si confronta con chi è più avanti di lui).
Ci sono anche diversi vivaci schizzi e le relative tavole definitive, alcune disarmanti nelle scelte della colorazione più o meno sfumata per ricreare fedelmente la profondità dei vari campi.
Mi consola vedere i primi lavori su commissione dove lo stile non è ancora esattamente quello che oggi la rende così riconoscibile e si intuisce una certa necessità di venire incontro alla committenza. L’evoluzione dello stile e la libertà di certe scelte arrivano dopo un po’ di tempo (in circa una decina d’anni c’è una vera e propria impennata in questo senso).
Le fisionomie dei personaggi, il modo in cui sono vestiti e coreografati mi portano comunque dentro a un mondo che intuisco sia pienissimo di riferimenti, un archivio visivo molto ricco (chissà come prende appunti, chissà come li cuce insieme, chissà quali libri legge…).
Credo che questa sia una delle sensazioni più stimolanti che può lasciarti una mostra, al di là del piacevole incontro con le opere esposte.
Se chi disegna comunica che, oltre a quella sul foglio o sulla tela, ci sono mille altre storie “in potenza” allora forse ti succede quello che è successo a me, ovvero che esci dalla sala e hai subito voglia di metterti a fare qualcosa.