C’est qui le petit? – Questione di prospettiva…
Corinne Dreyfuss, Virginie Vallier
Editions Thierry Magnier
Con parecchie preoccupazioni e incertezze, muoviamo i primi passi nel nuovo anno. Quello appena trascorso ci ha letteralmente ribaltato, costringendoci a mettere in discussione tutto quello che, magari anche con convinzione, ci eravamo abituati a chiamare “equilibrio”. La quotidianità si è riempita di nuove immagini che hanno prepotentemente sconvolto il nostro modo di agire e di pensare, di pensarci gli uni rispetto agli altri. In mezzo a tutta questa confusione in cui molte cose sono ancora da definire, mi sento piccola, mi sento smarrita. Ma è proprio quando il mondo sembra imporci delle risposte perentorie che non dobbiamo smettere di fare domande (anche se sembrano sempre le stesse).
Comincio io: chi è quello piccolo?
Si intitola così il repertorio di dittici fotografici pensato e realizzato da Corinne Dreyfuss e Virginie Vallier. Poche parole a darci il benvenuto prima che il libro cominci per davvero, poi la scena è tutta delle immagini. Coppie di fotografie si susseguono per provare ad argomentare la domanda con cui abbiamo esordito: “c’est qui le petit?”. Forse è la barchetta di carta che un bambino tiene tra le mani, ma non sembra piccolissima anche quella nave da crociera lontana all’orizzonte, tanto da darmi l’illusione di poterla raccogliere in punta di falangi?
Porzioni di mondo apparentemente senza misteri, diventano l’innesco per riflettere su cose che diamo per scontate: quando ci sembrava di avere una nostra idea di ciò che possiamo definire “piccolo” (in termini di taglia, ma anche di età) ecco comparire “l’altra immagine”, quella che ci costringe a ridefinire i confini delle parole. Il gioco poi si complica quando abbiamo a che fare con un castello intero: solo che quello grande è quello di sabbia, opportunamente inquadrato con l’obiettivo a filo spiaggia e quello piccolo è un castello storico che dovrebbe trovarsi su una collina e invece… è a sua volta riprodotto in fotografia e tenuto dalle mani di qualcuno, in un gioco di cornici a matrioska.
Giriamo pagina ancora una volta e il pensiero vola ancora più lontano, proprio come in volo sono le braccia di un bambino che corre a perdifiato e le ali di un aereo che percepiamo solo grazie alla sua ombra riflessa sul terreno. L’ombra della mano che insegue l’aeroplano e quasi incombe su di lui ci fa sospettare che quello sia un aereo giocattolo, ma forse poco importa: in fondo, chi avrebbe il coraggio di contestare che il volo più grande sia quello del bambino mosso dal vento dei suoi giochi e della sua gioia di vivere?
Con questo libro che è un po’ un repertorio e un po’ un (piccolo oppure grande?) “laboratorio di filosofia”, come lo definiscono le autrici nella premessa, si avvia un gioco che può continuare anche quando il libro è finito. Si gioca con le analogie ma anche con i contrasti, si mettono in crisi gli stereotipi e si rivalutano le posizioni. Si cambia continuamente punto di vista, per sentirci fieri di essere piccoli oppure per scoprirci più grandi di quanto immaginavamo.
Quando sfoglio questo libro e assieme a lui mi interrogo, foto dopo foto, mi ricordo che le cose possono cambiare se solo le osservo da una prospettiva differente. Mi ricordo che, prima ancora di essere una che disegna o che scrive, sono una che guarda e vuole imparare a guardare. E mi tengo stretta questa lezione come fosse un segreto che per i distratti pesa quanto un foglietto di carta, ma per quelli arrivati insieme a me in fondo al libro pesa come la fiducia che ancora, nonostante tutto, sappiamo riporre nelle cose e nelle persone che amiamo.