“Pericoli” del ritratto: otto scrittori e un consiglio paradossale.
Tullio Pericoli
Adelphi, 2003
“Non solo albi”, lo sapete, capita spesso che i miei consigli libreschi si muovano su terreni trasversali dove il disegno resta il protagonista ma viene esercitato con motivazioni e obiettivi diversi. Questa volta mi costringo a un faccia a faccia con una di quelle cose che resta un po’ una bestia nera del mio lavoro: il ritratto.
Non sono una ritrattista, non sono molto portata, non ho l’occhio allenato e la meticolosa pazienza di ricostruire la geografia di un volto punto per punto. Fare un ritratto in senso classico non mi ha nemmeno mai interessato così tanto ai fini di ciò che devo raccontare o comunicare, ma comunque mi mette sempre un po’ in difficoltà. Mi tocca poi confessare che mi viene quel briciolo di stizza quando, appena si sa che sai disegnare, c’è una consistente fetta di umanità che, senza neanche andare mai a sbirciare un tuo lavoro, ti chiede: dai, ma allora mi faresti un ritratto?
No.
O meglio, dipende. “Dipende” perché la mia non è certo un’avversione per il genere, anzi. “Dipende” perché in realtà di ritratti ne ho fatti, ne sto facendo. Ma “dipende” come sempre soprattutto dal fatto che il disegno diventa uno strumento di indagine per me più affascinante e fruttuoso se provo a non piegarlo a scopi meramente descrittivi o didascalici. È allora che, per uscire da quella sensazione di smarrimento e ricordarmi cosa veramente mi piace, mi serve (e forse mi viene meglio), prendo dallo scaffale “Otto scrittori”, la raccolta di schizzi e ritratti realizzati da Tullio Pericoli sui grandissimi della letteratura.
Pericoli è disegnatore, pittore, ma vanta esperienze di ampio respiro che arrivano fino alla costumistica teatrale. Molti dei ritratti contenuti in questa raccolta sono finiti sulle copertine di riedizioni di grandi classici, alcuni parlano di volti lontani nel tempo mentre altri vengono da una frequentazione diretta (come quelli di Calvino o Montale). Questo libro mi piace perché non è solo un catalogo di volti ben riusciti (e a volte neanche solo di volti come nelle immaginifiche rappresentazioni di Stevenson che contengono mondi interi), ma dedica un’ampia parte anche agli schizzi, ai tentativi, alle alternative. Si tratta perciò di un libro che fa ben intuire un processo e non esibisce solo un risultato.
Nella premessa (a cura di Matteo Codignola) si cita subito un concetto che apparentemente ci fa comodo ma che in realtà ci costringe a misurarci con sfide ambiziose: si cita Saul Steinberg (che amo immensamente) per cui fare un buon ritratto vuol dire, in fase di studio e lavorazione, liberarsi innanzitutto dalla prerogativa della somiglianza tra soggetto e oggetto. Sembra un paradosso o un modo per giustificare un risultato che potrebbe non essere soddisfacente. In realtà va a stressare quella corda sottile che suona nel momento in cui ci viene da dire che un ritratto somiglia al suo soggetto perché “coglie” qualcosa di prettamente suo che a volte nemmeno sappiamo definire bene cosa sia e va di sicuro al di là del colore dei capelli o della forma del naso.
“Per fare un ritratto non basta raffigurare un volto, bisogna scardinarlo”, lo dice lo stesso Pericoli e, ancora una volta, dobbiamo osservare con cura perché a quel drastico scardinare fa corrispondere un segno tutt’altro che violento, anzi lieve e ironico. In un’intervista su Repubblica, poi, Pericoli dichiara: “Ogni volta che preparo un’opera, o un ciclo o, magari, semplicemente un bozzetto, si scatenano piccole ossessioni che occupano gran parte della mia mente”. Si esprime così descrivendo la sua raccolta più recente di paesaggi delle Langhe ma, sfogliando “Otto scrittori”, non fatico a credere che un processo simile si inneschi anche nel caso dei ritratti. È interessante vedere come alcuni schizzi dello stesso personaggio non si somiglino granché tra loro, ma si parlino comunque reciprocamente e costituiscano passaggi inevitabili per arrivare alla sintesi finale più soddisfacente, quella in cui riconosciamo senza più alcun dubbio il protagonista. I ritratti di Pericoli non sono solo un incontro, ma una vera immersione nel mondo emotivo del loro soggetto da cui la mano si lascia travolgere, una mano che ha grande mestiere ma anche la capacità di lasciarsi andare. Questo faccia a faccia a cui mi sono sottoposta oggi finisce per “scardinare” anche me perché da Pericoli è questo che vorrei imparare: smontare, smontarmi per poi ricomporre dando alle cose un senso nuovo, nel rispetto di quell’incontro che, magari anche solo in minima parte, mi ha cambiato un po’ il modo di disegnare.
Coomenti 1
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