Diario di una illustratrice – Nostalgia della BCBF
Avrei dovuto scrivere qualcosa sul Bologna Children’s Book Fair prima della Fiera, ma non sono riuscita a causa dell’organizzazione che precede questo evento e all’ansia da prestazione che, questa, regolarmente comporta.
Allora ho deciso di scrivere su Ad un tratto a posteriori, quando tutto è stato inscatolato, ma si ha ancora il sapore sulla pelle, prima che scompaia lasciando il posto a gli altri 361 giorni.
In realtà di pensieri inerenti a questi quattro giorni, ne ho scritti diversi ultimamente e credo che, messe insieme, possano creare un articolo su cosa può essere la fiera del libro di Bologna per chi la vive da anni come me. Una delle tante esperienze che però ha un mood comune per tutti.
La prima volta che ci andai, avevo 20 anni più o meno, ero da poco uscita dall’istituto d’Arte di Firenze e frequentavo il Dams. L’illustrazione erano disegni fatti bene… ma lungi da me un mondo così vasto e regole precise a cui attenersi. Mi portò una carissima amica di famiglia, storica bibliotecaria della Bibliotecaria di Scandicci: quando tornai avevo la febbre altissima dalla stanchezza e dalla bolgia ancora incomprensibile di colori e situazioni viste.
Non avevo portato niente per il muro del pianto e improvvisai un disegnino su un pezzettino di carta perso tra milioni di bellissime illustrazioni. Fui contattata dopo qualche giorno da una casa editrice. Gli anni successivi in cui tappezzai tutto il muro… non mi chiamò nessuno. La fortuna del principiante!
Da allora raramente, forse una o due volte massimo ho saltato questo appuntamento.
Ho imparato da sola cosa volesse dire presentare un portfolio ad una casa editrice, portando da prima niente, poi troppo, poi ancora troppo, poi nella maniera sbagliata, poi gli appuntamenti. Ogni volta cercavo di raddrizzare il tiro. Non si impara mai in realtà, le epoche cambiano e anche le modalità di presentarsi. Nessuno me lo aveva mai spiegato prima, per questo mi piace insegnare la mia esperienza agli altri.
Poi ci sono tornata solo per guardare da fuori le lunghe fila di illustratori e giovani, farmi un’opinione, osservare le novità, le mostre, farmi solo vedere e salutare.
Ogni volta si creava dentro di me un mettersi in discussione, nel bene e nel male, producendo qualcosa di nuovo che spingeva avanti.
Ci sono tornata da mamma due volte, ho cambiato i miei figli dietro pannelli di cartone di fortuna, allattato per terra, sulle panche, sulle sedie, negli stand che mi hanno offerto una sedia.
Negli ultimi anni ci torno dall’altra parte, la parte di chi guarda i portfolio: ma senza mai scordare di essere stata anche io di là dal tavolo.
Durante la fiera hai un’adrenalina costante fatta di mille mondi diversi. Incontri, editori, parli, saluti amici, immagini.
Delle volte ti sembra quasi di vedere intorno ad un illustratore il suo alter ego disegnato da lui o qualche illustrazione famosa. Un’aurea illustrata che si muove intorno a loro. Non vi sembra di vedere buffi o dolcissimi animaletti fantastici intorno ad Arianna Papini? E simpaticissime donnine colorate col nasone che ironizzano insieme ad AnnaLaura Cantone o Sergio Olivotti? Personaggi di mondi fantastici in digitale che fluttuano intorno a Paolo D’Altan e gatti sornioni che si strusciano alle gambe di Paolo Domeniconi?
Questa ovviamente è la parte onirica della fiera. Poi c’è quella del lavoro: vedi portfolio, dai suggerimenti lavorativi, grafici, “funziona”, “non funziona”, cerchi di entrare in mondi che non conosci, cerchi di incoraggiare a migliorarsi.
Purtroppo molti non capiscono che ci vogliono anni di lavoro e persistenza per imparare a disegnare a china come Antonio Bonanno, usare il digitale come De Conno, trovare un segno come Joanna Concejo o la sintesi e il mondo fantastico di Daniela Costa.
Ma non devono demordere. Mai arrendersi e mai perdere il filo dell’aquilone, anche se l’aria e la vita tirano da un’altra parte. Le mani sanguinano, ma il filo non va mollato e bisogna rimettersi in gioco sempre.
Mettiamoci il nostro mondo dentro, parliamo di noi, non abbiate paura della vostra fantasia e di tirare fuori i volumi, le luci e le ombre. Osate creando pieni e vuoti.
Alla fine del secondo giorno sei già stanchissimo, ma molto felice. Inizi però ad essere un po’ triste, perché sai che sei già a metà… e tutto sarà presto finito. Come quando ti rendi conto che sei a metà di una vacanza (anche se stai lavorando e sei stravolto).
Nel 1994 tornai dal campeggio pensando che fosse stata l’estate più bella in assoluto. Al ritorno ebbi una gran botta e nostalgia di quei giorni affollati e pieni di cambiamenti. Tornai con una valigia piena di ricordi e volti che ancora oggi porto con me.
La fiera ti fa sentire proprio così e quest’anno in particolar modo a parer mio, ma anche di altri.
L’ultimo giorno di fiera è un po’ come quando si andava al mare da ragazzini e c’era chi rimaneva fino a gli ultimi giorni di estate, a gli sgoccioli con l’inizio della scuola. Molti sono andati già via e tu ti ritrovi a guardare la spiaggia semi vuota. Quasi non ti sembra neanche lo stesso luogo di soli pochi giorni fa. Risuonano ancora le frasi che ti hanno fatto ridere, gli amici incontrati, le sigarette fumate e le birre bevute.
Ti immagini le persone che sono già a casa (nella casa che ti sei immaginato dai loro racconti, non quella reale) intente già nel loro quotidiano. Mentre tu sei ancora lì ad aspettare di rientrare nella tua realtà perché intorno non ti dice ormai più nulla. Mentre smonti lo stand come smonti la veranda della roulotte… ti prendi una pausa ed esci un momento sul lungo mare della fiera tra un padiglione e l’altro: non c’è più nessuno, qualcuno quasi passeggia e ti sembra quasi di sentire l’odore di salsedine… ah, no! È il buon odore dei libri…
A tutti i miei compagni di avventura di quest’anno, già citati su Facebook.