Considerazioni BCBF17 – il muro degli illustratori
La fiera è ormai finita.
Scarpe consumate, gole infiammate, spalle doloranti ma come sempre tutti pieni di pagine, libri e immagini che ci scorrono davanti agli occhi, inebriati da tutto ciò che la fiera del libro rappresenta.
Uno degli aspetti che personalmente preferisco della fiera è però quella di poter osservare la differenza tra le opere selezionate, le novità pubblicate e ciò che il muro del pianto propone come menú.
Sarà che questo è stato il mio settimo anno (l’anno delle crisi, dicono), sarà che mai come prima d’ora il mio obiettivo primario era cercare qualcosa che mi colpisse, ma ciò che ho notato è stato imprevisto.
Il muro del pianto era enorme. Verso il terzo giorno anche le pareti opposte (il muro di mattoni rossi, quello del bancomat per capirci) erano tappezzate di ogni genere di biglietto.
Vista la mole ho deciso di prendermi un po’ di tempo per vedere cosa offrivano tanti illustratori emergenti e non.
Il risultato è stato abbastanza triste e mi ha fatto pensare.
Vedere tanti illustratori che offrono lo stesso stile è sicuramente frutto di un movimento editoriale che in gran parte ha l’obiettivo di produrre libri per un consumo veloce e poco attento.
Il problema però è vedere tanti che imitano lo stesso codice estetico dei colleghi portando un atto creativo, pensato, ricercato alla mera riproduzione di linee, curve e colori.
Tra una fantomatica bimbetta dalle spiccate fattezze Marnattiane, dei Guasco, dei Sardà e dei Ponzi mi chiedo cosa stia accadendo non tanto all’offerta che si adegua quanto alla domanda.
Perché a questo punto il problema non penso siano gli illustratori più o meno di primo pelo, quanto alle redazioni editoriali che sembrano non voler cercare nulla di diverso tra una casa editrice e l’altra.
La ricercatezza di stili diversi che tanto contrastano nella mostra degli illustratori svanisce sul muro del pianto.
La ricercatezza che mostra l’eccellenza nelle pubblicazioni con l’etichetta tonda tra gli stand della fiera mostrano due mondi che sembrano parlare linguaggi diversi.
Il primo fatto dalla qualità di un mondo editoriale alto, complesso, con linguaggi visivi articolati e che riescono a parlare ad una utenza di età larghissime.
L’altro è un “muro” fatto da una generazione, la mia compresa, che sembra non cercare nuovi stili nei grandi artisti (chi non ha mai copiato qualche bel quadro) ma li ricerca nei contemporanei, nei colleghi che per merito, bravura e la grande cassa di risonanza che è oggi internet li hanno resi grandi artisti.
Ma Guasco ha fatto suo Depero e la scuola pubblicitaria di quel periodo. Non ha copiato nulla. Ne ha catturato le regole che lo stile di quel periodo richiedeva e le ha rese moderne e avvincenti.
Cosa può portare ad un illustratore odierno copiare lo stile della Sardà o della Marnat?
Oltre a rovinare il mercato editoriale (che figura barbina può fare un editore che pubblica dei plagi?) si rovina anche la qualità di ciò che si produce (un libro varrà come un altro se hanno tutti fattezze uguali offrendo lo stesso appeal con un conseguente appiattimento dei gusti dei lettori/spettatori).
Certo è che, oggi come oggi, la stragrande maggioranza degli illustratori non è più autodidatta. Accademie, ISIA, IED, Nemo, Mimaster e tutte le altre hanno sfornato decine (forse anche centinaia) di valenti e competenti illustratori con delle forme mentis che però tendono troppo a somigliare dal ceppo da cui provengono e quindi non capisco come mai queste “somiglianze” stilistiche non vengano fatte notare quanto prima anche all’interno degli istituti.
Tutti abbiamo avuto periodi ispirati a questo o a quell’autore, è normale che accada, ma da illustratore penso che ciò che portiamo all’esterno (che sia un biglietto da visita o un poster da affiggere) debba essere ciò che più di personale abbiamo.
Se anche altri, però, hanno avuto questo pensiero e il risultato è appunto il “muro del plagio” allora qualcosa si è inceppato.