Le Forme Semplici – 3 artiste giapponesi ispiratrici di spensieratezza
Spesso quando guardo un’illustrazione mi ritrovo a pensare se: è più importante la forma, ovvero la tecnica con cui è realizzata, o il contenuto, cioè il messaggio che nell’insieme trasmette.
Perché quando si parla di libri illustrati si pensa insieme alle immagini, anche alle parole che le accompagnano, e allora si può credere che un’immagine non debba necessariamente parlare per se, ma soprattutto, un bel disegno è bello quando è bello nella forma, o nel contenuto, cioè quando ti trasmette qualcosa o quando è ben realizzato?
In realtà queste riflessioni “meta-illustrative” mi vengono spesso in mente guardando le illustrazioni (e i quadri) di alcuni artisti che disegnano, potremmo dire ‘male’, dove per male si intende, strano, sbagliato, o tanto facile e semplice che poteva farlo anche un bambino. Il che è curioso dal momento che spesso ‘il bambino’ è proprio il soggetto e l’oggetto di tali disegni, perché non si può disegnare come Miroco Machiko, Mogu Takahashi o Misaki Kawai se non si rimane almeno un po’ bambini.
Oggi vorrei parlarvi proprio di queste brillanti artiste, della triade nipponica delle mie ispirazioni di vita, di stile ma soprattutto di arte.
Miroco
Per i fortunati di voi che abitano a Roma, Milano o Bologna, la catena di negozi giapponese Muji, ha esibito durante lo scorso natale, una campagna pubblicitaria realizzata insieme ad altri con l’illustratrice e artista giapponese Miroco Machiko.
Miroco Machiko è per me un brillante esempio di come la forma e il contenuto nell’illustrazione, riescano insieme a raccontare una storia. Il contenuto, sublimato nel gesto che crea la forma, è in Miroco Machiko specialmente, forza primitiva e incontenibile. I suoi animali schizofrenici sembrano parlarti dell’urgenza di vivere presente in ogni cellula, di ogni essere vivente, dall’albero alla foglia, dalla formica alla tigre, fin dall’albore dei primissimi tempi.
Il segno che delimita un colore che non vuole e non riesce a stare al suo posto, è un segno costruito sui passi di una grande danza, che non è il dialogo silente della mano sul foglio, ma comprende tutto il corpo, e si estende e ruota insieme alla terra in questo vasto ed enorme universo, infinitamente grande come le sue gigantesche tele che ti strappano un solenne ed ammutolito ‘wow’.
Pensando a Miroco Machiko poi, mi fermo a riflettere anche sulla diversa concezione che esiste in Giappone di artista rispetto all’idea che ne abbiamo noi oggi. Studiando la storia dell’arte come un percorso lineare che parte dai muri umidi delle caverne paleolitiche, e arriva fino alle conquistate biennali, patria di artisti, critici e loro ibridi, trovo che si perda un poco il senso eterno ed etereo che l’arte da sempre ha avuto per l’uomo. Perché in fin dei conti il senso ultimo è ancora rinchiuso in quelle caverne, ed è un sentimento che presente in ognuno di noi, trascendendo il tempo, è come la forza creativa e creatrice, che possiamo ancora vedere nei bambini, come quando da marmocchi disegnavamo coi pennarelli sui muri.
Misaki
Nelle città in cui è esplosa l’epidemia di Tiger, forse alcuni di voi ricorderanno la collaborazione che la catena di negozi svedese aveva iniziato insieme ad artisti, designer e illustratori di tutto il mondo, con cui aveva firmato una linea di prodotti disegnata da loro. Tra questi artisti, la prima ad aprire le danze, fu Misaki Kawai.Misaki Kawai è un’artista, non un’illustratrice, ma la sua arte ha molto a che fare col mondo dell’infanzia, perché come dicevo prima devi rimanere un po’ bambino per riuscire a disegnare delle mutande così belle e così grandi. Quando un bambino disegna è capace di restare accortamente dentro ai bordi, nel limite dei suoi interessi, (letteralmente e metaforicamente) per poi riempire gli spazi vuoti con tutta la foga e l’irriverenza che la sua urgenza di esprimersi richiede. Misaki Kawai sa unire allo stesso modo, la precisione e l’attenzione che lo sguardo infantile riserva alle linee e alle forme, senza per questo frenare la spontaneità del gesto.
I colori sono esplosivi, vibranti, vengono scelti in virtù della loro connaturata bellezza, per far risaltare e per esaltare oggetti semplici, animali, fiori, triangoli, persone o marionette, ogni cosa, da un calzino spaiato a un bellissimo e fiero leone, tutto trova un posto d’onore nelle sue gigantesche e colorate tele, come a ricordarci che tutto è e può essere fonte di esilarante meraviglia.
Mogu
Un’altra incredibile artista giapponese che seguo, e che ha nel mio cuore un posto speciale è Mogu Takahashi. Mogu mi è apparsa come la Provvidenza Divina tra i suggerimenti di Instagram, ma nessuna catena di negozio qui in Italia si è (ancora) assunta l’onore e l’onere di diffondere il suo Verbo, (anche se collabora già, tra altri, con Fine Little Days, un negozio online di articoli per la casa, design e libri).
Mogu Takashashi come Miroco Machiko è artista e illustratrice, e tutto ciò che si può dire di chi piastriccia con le mani e i colori. Le sue illustrazioni raccontano la febbrile gioia del dire e mostrare, ancora prima di riuscire a trovare gli strumenti giusti per dirlo e farlo, e infatti qualcuno direbbe che disegna proprio molto male! Come un bambino, uno di quelli neanche tanto bravi, che non sta troppo tempo a pensare a com’è fatto un cavallo, ma che subito se gli dai una penna in mano, si anima entusiasta all’idea di poter disegnare il suo animale preferito.
Allo stesso modo si comporta Mogu Takahashi, e in questo caso il suo contenuto è tutto nella forma, è un’idea! L’idea che si scontra subito con la realtà vergine del foglio bianco, e che si esprime per se stessa, semplicemente. Non è il cavallo reale, è l’idea del cavallo: quattro zampe, criniera, collo lungo. Questo processo creativo non lascia spazio per riflettere, esprime esuberante sul foglio la gioia, la rabbia, o la tristezza, ma più spesso la gioia, perché essa è intrinseca nell’atto della creazione, di quella che da vita, come il seme da cui nasce la pianta, e che morirà solo per diventare di nuovo parte del mondo.
Quando siamo piccoli certe urgenti emozioni sembriamo sentirle così forte che il nostro corpicino a stento le contiene per questo urliamo, disegniamo, corriamo, saltiamo e facciamo le capriole. Più cresciamo, più assimiliamo ed impariamo a trattenere dentro di noi anche quei balzi primevi dell’animo che una volta ci spingevano a fare, a distruggere ma soprattutto creare. Mogu Takahashi mi ricorda proprio questo: non c’è tempo per pensare, per rimuginare sui rimpianti o i dolori passati o sulle aspirazioni di perfezione! Bisogna fare, agire, raccogliere ed osservare tutte quelle piccole cose che in una giornata catturano la nostra attenzione, una foglia, una tazza, il sole, la simpatica idea di un coniglio con un piccolo cappello…e che ci fanno sorridere e ci rendono felici.
Ho una vera e propria passione per questi artisti e illustratori che disegnano ‘male’, (anche se mi sembra di dire un po’ una blasfemia dire che disegnano male, anche se tra virgolette). Miroco Machiko, Mogu Takahashi, Misaki Kawai, ma anche Yoshiko Hada, e per citare anche artisti non giapponesi, Faye Moorhouse, Tara Booth, Emilia Ikle…
Ma ho anche una vera e propria ammirazione per loro, per essere riusciti ad esprimersi così coraggiosamente a modo proprio, perché spesso ciò che ci blocca come artisti, e come persone, è la paura, la paura che ci schiaccia nelle forme comuni, non semplici, ma quelle che ci omologano agli altri, che prestampa i nostri vestiti e i nostri gusti, formando i nostri modi di essere, e facendoci dimenticare che invece con le forme, coi colori, si può giocare, con le parole, con la linea, con noi stessi, soprattutto si deve giocare!