Il nostro “Demone” – PLAGIO Parte 1.3
Ed eccovi la terza parte sul plagio.
Come promesso ho voluto intervistare un editore proprio per aiutare tutti a comprendere meglio il plagio. L’editore in questione non ha bisogno di presentazioni, non più del minimo indispensabile.Autore e traduttore, ha tenuto diversi corsi a Sarmede, ex giurato alla fiera del libro di Bologna, editore di Topipittori.
Signore e signori: Paolo Canton!
A: Buongiorno Paolo,
per prima cosa la ringrazio di aver deciso di rispondere alle mie domande.
A parte la sua comprovata competenza come editore, ricordo un suo articolo sul plagio nel blog di Topipittori riguardo un caso in cui si coinvolgeva Joanna Concejo e credo che delle sue considerazioni su quest’argomento siano un ottimo spunto di riflessione per tutti.
Inizio subito con una domanda per poter fare il punto della situazione:
Cosa è per te il plagio?
Paolo Canton: Il plagio non è questione di opinioni, ma di codice civile. Plagio è l’appropriazione, tramite copia totale o parziale, dell’opera dell’ingegno altrui. È una denominazione forzatamente vaga, generica, che si presta perciò a interpretazioni più o meno restrittive e che rende difficile discriminare che cosa sia plagio e che cosa più innocente ispirazione.
Nel caso che citavi un illustratore aveva scandito dettagli delle illustrazioni di Joanna Concejo dal libro “L’angelo delle scarpe” e le aveva aveva utilizzate per realizzare illustrazioni proprie, se non ricordo male anche inviate a un concorso. Non è che avesse ritagliato il libro e ne avesse usato i lacerti per fare collage: aveva proprio scandito i dettagli e li aveva usati per fare illustrazioni che spacciava per sue. Joanna ci aveva chiesto di intervenire e siamo intervenuti pubblicamente, dopo che il gestore del blog che aveva pubblicato quelle immagini aveva rifiutato di rimuoverle.
Esistono anche casi più lampanti: una illustratrice romana ha recentemente scoperto che una sua collega tedesca vende stampe di illustrazioni pedissequamente copiate dalle sue (le ho viste e posso affermare che non è un’ubbia isterica, ma una cruda realtà).
Ma se escludiamo questi casi lampanti (invero pochi), entriamo in una zona grigia e sfumata, nella quale tutto è possibile e tutto accade.
A parte la questione del plagio tout-court, penso che sia interessante rispondere anche alla domanda che hai fatto in premessa e chiedersi se esiste un limite al di là del quale l’influenza diventa un problema. Anche qui, i casi sono i più vari.
C’è un noto e onestissimo fumettista italiano che si dichiara “mattottiano naturale” e non nasconde – anzi dichiara orgogliosamente – di rifarsi allo stile di Lorenzo Mattotti. Ci sono due illustratori, per anni compagni di scuola, che si somigliano forse un po’ troppo nello stile e nei temi (e sono entrambi celeberrimi). Ci sono giovani che non hanno ancora digerito le proprie influenze, tendono a non riconoscerle e ne sono vittima. Ci sono una maestra e un’allieva che si somigliano incredibilmente e pubblicano per la stessa casa editrice (francese). Ci sono quelli che hanno poche idee e tendono a sfruttare quelle di altri.Ci sono quelli che l’unica cosa che sanno fare è copiare a man bassa. Ci sono quelli convinti che assomigliare a un illustratore di sucesso sia una scorciatoia per essere pubblicati.
In ciascuno di questi casi, credo che il discrimine sia l’onestà. Bisogna essere consapevoli di quello che si fa e se si hanno dei debiti bisogna riconoscerli pubblicamente. Nessuno si arrabbia se fai l’acquarellista e cerchi di imitare, per esempio, Marina Marcolin (sempre ammesso che tu ci riesca). È lecito. Ma non puoi fare finta che sia tutta farina del tuo sacco, non puoi esagerare e devi sorvegliarti con attenzione nel momento in cui sei consapevole del fatto che qualcosa ti piace un po’ troppo. In questo, la critica dovrebbe avere un ruolo più forte. Il che non significa che dovrebbe darsi la pena di stroncare questo e quello, ma che dovrebbe fare meglio il proprio lavoro: individuare le radici, scovare gli agganci, e bacchettare chi esagera, premiare i lavori davvero originali. Purtroppo, non è sempre così che vanno le cose: ho in mente decine di libri pubblicati ed evidentemente “copiati” in questo o in quell’aspetto. Che questo accada, penso sia assolutamente naturale e penso che non preoccupi chi è davvero capace di fare il proprio mestiere. Ma è preoccupante che spesso le “copie” vengano accolte meglio degli “originali”, che non vengano riconosciute la novità e l’innovatività.
A: In quanto editore immagino che tu abbia la possibilità di visionare decine, se non centinaia, di portfolio e progetti libro, alcuni saranno stati meritevoli e altri no.
Ha mai avuto modo di visionare progetti che avessero uno stile o delle tecniche che fossero copiate da terzi? Come si è comportato a riguardo?
Paolo Canton: In casa editrice riceviamo più di 1000 proposte non sollecitate, fra testi, illustrazioni e progetti libro. Ogni anno. Accade continuamente di ricevere lavori eccessivamente “ispirati” allo stile e ai modi di illustratori più o meno celebri. Ma abbiamo già abbastanza da fare a esaminare il materiale e rispondere (dato che rispondiamo a tutti) da anche solo pensare di perdere tempo a dire a qualcuno che copia qualcun altro. C’è poi da considerare che la materia è sensibile e probabilmente non sarebbe molto saggio sottolineare a qualcuno che il lavoro che ci ha sottoposto è copiato. Ne verrebbe fuori, probabilmente, un litigio.
È, invece, capitato di suggerire a un amico, a un allievo, a qualcuno con cui si ha una relazione già più solida, di sorvegliare maggiormente la mano, di digerire certe influenze, di liberarsi dalla schiavitù di un mito. In tutti questi casi, ci sono state discussioni, analisi, commenti: è stato un tempo speso ma non perso.
A: Facciamo una ipotesi: mettiamo il caso che esca un libro con delle immagini imputabili di plagio. Quanto rischia la casa editrice?
Paolo Canton: Sostanzialmente niente. Una delle clausole normalmente incluse nel contratto di edizione prevede una liberatoria per l’editore: firmando il contratto è l’autore (o l’illustratore) che garantisce l’originalità dell’opera e assume su di sé ogni pretesa o molestia da parte di terzi. Quindi, se la casa editrice è gestita con oculatezza e i contratti sono redatti secondo le prassi consolidate, la casa editrice non rischia nulla. D’altra parte, il plagio è opera dell’autore o dell’illustratore, non della casa editrice. Questo da un punto di vista giuridico. Ma la casa editrice potrebbe indubbiamente patire un danno reputazionale nel momento in cui rivelasse la propria incompetenza, pubblicando un’opera plagiaria. In generale, però, il plagio non fa grandi vittime e anche il danno reputazionale non è così certo, né per la casa editrice né per il plagiarista: in un caso di qualche anno fa, una studentessa ha scoperto e rivelato che un intero brano, piuttosto lunghetto, di un romanzo di un noto autore per ragazzi italiano era copiato alla lettera da un libro francese di qualche anno prima; l’autore si è giustificato affermando di prendere moltissimi appunti e che probabilmente aveva trascritto quel brano come appunto, perdendo poi memoria dell’origine nel momento in cui se l’è ritrovato bello e pronto al momento della scrittura. A me la giustificazione sembrava poco credibile, ma buona parte del mondo dell’editoria per ragazzi ha preso le parti del celebre autore, e non quelle della sconosciuta studentessa. Non era necessario crocifiggere nessuno. Ma in questo caso si è preferito difendere l’establishment, fidarsi della buona fede di chi si conosce da anni e fa parte dell’ambiente.
Quindi, forse, plagiare conviene. Anche se probabilmente dipende molto da chi si è e da chi si plagia.
A: Ultima domanda: quale potrebbe essere una soluzione che tuteli un illustratore e un editore dal plagio?
Paolo Canton: Non esiste una soluzione. Il plagio è vecchio come il mondo e con il mondo finirà. Ma anche qui è utile ampliare la riflessione alla zona grigia di cui parlavo prima. In questo ambito, sarebbe essenziale che la funzione critica venisse esercitata con maggiore competenza e libertà. Basterebbe che i recensori e gli studiosi si dessero la pena di dichiarare quel che è evidente, che le giurie dei premi sapessero riconoscere i lavori davvero originali da quelli che da questi traggono ispirazione, che l’innovazione di tecnica, di stile, di motivi e di modi venisse premiata più dell’inserirsi in un solco già tracciato da altri. Se e quando questo accadrà, gli illustratori e gli autori avranno gli incentivi adatti a intraprendere la ricerca di una strada propria. Una strada che, magari, si sa da dove parte e con quali contributi è stata costruita, ma una strada autonoma, propria, indipendente.
In quarantamila anni di storia del disegno, probabilmente è già stato disegnato tutto: non c’è un segno che non sia già stato fatto. Ma è ancora possibile essere originali e innovativi.
Esserlo è difficile e dovrebbe essere tutto il sistema a concorrere a incentivare originalità e innovazione: i docenti dovrebbero evitare la tentazione narcisistica di creare cloni; gli studenti dovrebbero distinguere molto bene l’ambito scolastico (nel quale tutto è ammesso e, anzi, la copia è uno strumento fondamentale) dalla ricerca personale e professionale, imparando che cosa si può mostrare e che cosa si deve forzatamente tenere nel cassetto; studiosi e critici dovrebbero impegnarsi a promuovere i lavori migliori, a prescindere da tutto il resto (amicizie, relazioni, convenienze eccetera); e gli editori, sì certo, anche loro, dovrebbero trattenersi dalla tentazione di far fare un libro a X, perché assomiglia moltissimo a Y ma costa molto meno (se non è addirittura disposto a farlo gratis).
Con questo articolo la prima parte sul plagio arriva a conclusione.
Il mio interesse nell’argomento non si è esaurito, anzi, ho qualche altra intervista in mente ma ci vorrà un po’ di tempo.
Per ora mi auguro che questo brutto “demone”, per non chiamarlo semplicemente cattiva abitudine, spero l’abbiate messo in letargo per i mesi freddi.
A tutti buon disegno e non seguite il lato oscuro del disegno!