
Illustratori italiani all’estero – intervista a Daniela Spoto
Daniela è un’illustratrice sarda che vive in Germania ( Düsseldorf ). Venne selezionata per l’Annual dell’Associazione Autori di Immagini nel 2016. L’ho
ritrovata per caso grazie ai social .
Quello che mi ha subito attratto nel suo lavoro è la frequente presenza di elementi vegetali -mi ricordano spesso quelli degli arazzi medievali e dei dipinti rinascimentali- che mixati a figure infantili o femminili restituiscono le atmosfere del sogno e della leggenda popolare.
L’ultimo albo che ha illustrato è “Clouds / Nuvole” scritto da Eloisa Guarracino ed edito nel 2019 da Raum Italic.

Ciao Daniela,
la prima cosa che colpisce del tuo lavoro è la forte presenza vegetale: bambini immersi nelle piante, donne che emergono da copiosi bouquet, racemi abitati… Quella per il mondo vegetale è una passione che ti accompagna anche nella vita quotidiana o limitata all’ambito creativo? Hai una pianta preferita?
Daniela: Ciao Daniel!
Non rientro, ahimè, tra le persone che hanno il cosiddetto “pollice verde”: ho quattro piante in casa e temo che a breve diventeranno tre (ma giusto perché una è un cactus e resiste stoicamente).
Non posso quindi dire di avere un vero contatto quotidiano o di avere una pianta preferita in assoluto, ma il mondo vegetale mi affascina moltissimo. Mi piace visitare gli orti botanici, camminare nei boschi, passeggiare in campagna. Queste due ultime attività le coltivo in particolare quando vado in Sardegna. In tutte le mie visite c’è almeno un giorno, un pomeriggio, delle ore, che ho bisogno di trascorrere camminando tra le erbe selvatiche e il vento. La natura spontanea e i boschi della mia infanzia nutrono da sempre la mia immaginazione -quando ero piccola ero convinta che le streghe abitassero nei boschi- e mi ricaricano.
Nelle tue illustrazioni utilizzi quasi esclusivamente tecniche tradizionali, ed hai fatto della naturalezza il tuo punto di forza: è stato un processo che hai assecondato spontaneamente o hai attraversato/attraversi momenti di difficoltà?
Daniela: Con la produzione digitale in effetti non ho lo stesso rapporto che ho con la carta e i pennelli: in generale mi viene spontaneo lavorare su carta quando devo affrontare temi e progetti più lirici e complessi, mentre sul digitale lavoro a tematiche tendenzialmente più ironiche e leggere.
C’è stato un momento, qualche anno fa, in cui mi ero convinta di dover lasciar stare la carta per imparare a lavorare esclusivamente in digitale, cosa che, secondo me, poteva garantirmi più possibilità lavorative. Avevo messo insieme un portfolio con alcuni lavori su carta e altri in digitale per la prova di ammissione al corso di graphic design dell’Università a Berlino (Universität der Künste Berlin ). Non fui selezionata e la risposta suonava più o meno così : “Lei ha un buon istinto per il lavoro su carta, la scelta dei materiali, l’equilibrio e la composizione del disegno. Quindi disegni.” Uno dei pochi rifiuti in vita mia che mi hanno resa felice.

Come sei finita a vivere in Germania?
Daniela: Ho terminato gli studi all’Accademia di Belle Arti di Sassari nel 2009 (indirizzo Pittura) e ho sentito che se volevo crescere, sia come persona che artisticamente, avevo bisogno di andarmene, di mettermi in grosse, grossissime difficoltà. Berlino era ancora molto economica, piena di artisti da tutto il mondo e con una vita culturale molto attiva. Decisi di andarci, senza esserci mai stata, tra l’altro.
Nel 2016 hai realizzato “2 valigie, 5 anni”, pubblicazione in collaborazione col Circolo Sardo di Berlino in cui racconti, con ironia, le difficoltà del primo periodo vissuto all’estero. Ci racconti brevemente come è stato adattarsi in un nuovo ambiente?
Daniela: Inizialmente, appena arrivata a Berlino, la fascinazione è stata fortissima: tutto nuovo, diverso, bellissimo. Lo stile di vita liberissimo, mostre, concerti, cose nuove, persone nuove, input ogni settimana se non ogni giorno. Poi è sopraggiunta la realtà: la necessità di imparare la lingua, trovare una stanza a lungo termine in un appartamento condiviso, trovare un lavoro part-time per pagare l’affitto. E’ stato difficile, ci sono stati periodi in cui avevo due-tre lavori part-time e disegnavo la mattina prima di iniziare la giornata o la notte. Poi ho cominciato a partecipare alle prime mostre nei caffè letterari, collettive in piccole gallerie, fiere di fumetto e illustrazione, mercatini. Ho conosciuto altri artisti, illustratori, musicisti, editori e persone con cui tuttora collaboro. Ho fatto scorpacciata di tante esperienze diverse, in ambito lavorativo e personale. Mi sono molto divertita, mi sono disperata, ho capito delle cose, e disimparate altre.
Poi ad un certo punto mi sono accorta di non sentirmi più italiana (se mai mi ci sono sentita) ma nemmeno tedesca. Credo sia un sentimento comune a chi vive saltellando tra le nazioni.
Quando puoi torni in Sardegna e partecipi ad eventi/mercatini di illustrazione. Com’è la situazione sull’isola dal punto di vista della cultura visiva?
Daniela: Ci sono molte associazioni, curatori, enti museali, moltissimi artisti di discipline diverse che si impegnano a portare avanti progetti sempre nuovi e stimolanti. In generale ho la felice impressione che con il passare degli anni aumentino i festival, i mercatini, le mostre e gli eventi relativi all’illustrazione, come in effetti un po’ ovunque in Italia. Mi fa sempre molto piacere partecipare, è bello rivedere illustratori che conosco e conoscerne costantemente di nuovi, scoprire la persona che sta dietro a quel profilo Instagram che seguo con curiosità da un po’.
Quali differenze hai notato tra il panorama contemporaneo dell’illustrazione italiana e quella tedesca?
Daniela: Non so, ho sempre l’impressione, magari tutta mia, che il panorama tedesco sia tendenzialmente intriso di quel caratteristico senso pratico che accompagna un po’ tutti gli aspetti della vita qui.
La maggior parte degli illustratori che ho conosciuto qui si occupa in genere di illustrazione prettamente commerciale. Qua a Düsseldorf mi è capitato di vedere diversi eventi dove gli illustratori collaboravano: dall’inaugurazione del negozio di ottica dove due illustratori fanno i ritratti live ai clienti mentre si provano gli occhiali, disegni e lettering sulle vetrine di tutti (panettiere, grazioso Cafè o fioraio), bici o skateboard disegnati live. Mi sembra ci sia l’idea dell’illustrazione come prodotto e servizio commerciabile, anche nella quotidianità. Sta poi all’inventiva dell’illustratore, e il pubblico partecipa volentieri.
Per quanto riguarda l’editoria, ci sono molte piccole case editrici che oltre ai picture books propongono fumetti, graphic novel (molto moltissimo a Berlino), guide illustrate sui più svariati argomenti e in generale sono aperte a collaborare e sperimentare.
Per quanto mi riguarda, sinora ho collaborato con le piccole realtà editoriali e ho sempre trovato una bella intesa e professionalità nel seguire e sviluppare il lavoro insieme.
Poi da un Paese all’altro credo sia normale che il gusto o il genere di stile tendenzialmente preferito dall’editoria, sia diverso.

Hai rilevato dei vantaggi a livello professionale nel lavorare da e con l’estero (dal punto di vista fiscale, nei rapporti con la committenza…) ?
Daniela: Premettendo che dal punto di vista fiscale non so benissimo come funzioni in Italia, in Germania ci sono delle soluzioni per aiutare i freelancer a non rimanere schiacciati dalle tasse. Per chi sta iniziando, considerando la discontinuità delle entrate, gli sgravi fiscali permettono di stare a galla.
Per quanto riguarda la committenza -ovviamente non bisogna generalizzare, perché la scorrettezza non ha nazionalità e un cliente scorretto può sempre capitare- la mia percezione è che all’estero ci sia un po’ più di consapevolezza per quanto riguarda il lavoro dell’illustratore. L’illustratore è una persona che offre un servizio e in quanto tale va pagata.
Poi nella mia ancora limitata esperienza, le rare volte che ho dovuto inseguire dei clienti per farmi pagare una fattura o che i clienti sono evaporati senza lasciare tracce dopo aver ricevuto il preventivo, erano italiani.
C’è qualcosa dell’Italia che ti manca (cibo, famiglia ed amici non valgono come risposta)?
Daniela: Credo che a mancarmi sia, banalmente, il poter usare la lingua italiana per esprimermi. Quando parlo in tedesco ho sempre il timore di fare degli errori, di non capire bene o di non essere ben capita. Essendo una persona già di per sé timida, il dovermi esprimere in un’altra lingua con la terrrribile possibilità di farlo male, mi mette ancora un po’ a disagio. Ma suvvia, probabilmente tra 15 o 20 anni o divento bravissima, o mi passa.

Pensi che nelle tue illustrazioni ci sia un riflesso della tua italianità?
Daniela: A dir la verità non saprei. Può essere che nel processo creativo vada a ripescare episodi, luoghi e persone dal mio vissuto e dall’infanzia che si mischiano e contaminano con tanti altri elementi. In tutti i libri che ho illustrato finora, ho disegnato persone che conosco, abiti che ho messo, dettagli di case che ho visitato. Un gioco che, in quanto illustratori, facciamo tutti (credo): disseminiamo il sentiero di briciole come Hansel e Gretel.
Tra l’altro all’ultima fiera di Bologna, un editore mi ha fatto notare che molti dei miei personaggi sembrano giapponesi (?!).
In definitiva, consiglieresti ad un illustratore (o aspirante tale) di trasferirsi in Germania?
Daniela: Nel mio caso il trasferimento, con tutte le sue difficoltà, alti e bassi, è stata una scelta fondamentale che ha posto le basi per tutto quello che io sono adesso.
È un’esperienza radicale, che risponde a un impulso personalissimo. Ognuno di noi ha un equilibrio interiore e dei bisogni diversi: ho conosciuto persone che dopo sei mesi in Germania sono tornate in Italia molto deluse. Ci vogliono mesi e anni prima di ottenere dei risultati, capire come funziona, accumulare esperienze e migliorare. Credo comunque che provare a trascorrere dei periodi all’estero faccia sempre molto bene. Consiglierei indubbiamente di fare almeno qualche settimana a Berlino, che rimane il centro creativo della Germania. Adesso la città è molto cambiata rispetto ai primi tempi in cui ci vivevo (o forse sto invecchiando io) però continua ad essere piena di energia e impulsi creativi. Ci vado spesso e volentieri.
In ogni caso, essere illustratore comporta sacrificio e dedizione a prescindere della nazione in cui si vive. Poi trasferirsi in realtà non è indispensabile ai fini dell’illustrazione di per sé: con una buona connessione ad internet, il dove si lavora non è cosi determinante. Quello che è importante è vedere e interagire periodicamente con delle realtà diverse, nutrirci, cambiare i punti di vista. E trovare infine un luogo a noi congeniale, dove poter mettere su carta quello che mangiamo con gli occhi.

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