Ho assunto un life coach: Neil Gaiman, conosci?
Art matters. Because your imagination can change the world.
Neil Gaiman, Chris Riddell
Headline, 2018
Chi ha avuto la fortuna e la motivazione necessaria per riuscire a trasformare una sua grande passione in un lavoro non può permettersi le crisi. Chi lavora in ambito creativo, chi in qualche modo è un artista (peggio ancora, un artista di successo!), non si deve lamentare, non deve cedere e chiedere mai perché ha già raggiunto uno di quei traguardi che moltissime persone appena si permettono di sognare. Quindi, cari artisti, zitti e giù a far disegni, comporre canzoni, fotografare e scrivere col cuore alto e l’umore a mille… marsch, al mondo servono idee, le vostre!
Sembrerebbe tutto molto semplice. In fondo facciamo qualcosa che ci rende felici o che ci salva anche quando felici non lo siamo per niente e questa, sì, è una grande opportunità.
E invece l’umore non è sempre a mille, la testa non è sempre lucida, la terra su cui ci muoviamo a volte ce la dobbiamo immaginare prima ancora di metterci a lavorarla.
Mi capita spesso: le cose che produco sembrano così astratte, irrilevanti al cospetto della complessità del mondo, mi chiedo perchè mi ostino in questa direzione, per chi, a cosa serve, se sono solo un distributore di cosine belle e originali, più facilmente accessibile di altri. E poi arriva questo libro qui, “Art matters” di Neil Gaiman e Chris Riddell, a ribadire delle cose che dovrei ripetermi più spesso: art matters, l’arte conta.
Diciamo la verità, se certe “banalità” te le dice uno come Neil Gaiman (autore di serie a fumetti epocali, sceneggiatore, pluripremiato scrittore) forse sei più ben disposto a crederci. Se Chris Riddell ci si gioca la matita forse lo sei ancora di più. Non tanto perché il loro parere conti maggiormente per partito preso, ma perché ci sono anni di esperienza rovesciati sulle pagine in modo sincero e senza mezzi termini, a riprova del fatto che dal tunnel insidioso che porta all’affermazione di quel famigerato titolo ci sono passati per davvero e sono in qualche modo riusciti a uscirne, ogni volta.
“When you start out on a career in the arts you have no idea what you are doing. This is great”. Sicuro Neil? Perché detta così non suona proprio rassicurante. Eppure dovrei saperlo che non c’è niente di confortevole in questo mestiere e che proprio il suo essere senza regole prestabilite è la più grande chance che ci offre.
Questo piccolo solido libro (in un inglese molto affrontabile, con copertina cartonata, in formato da borsetta) raccoglie scritti di Gaiman, composti in momenti diversi, che affrontano il suo modo di concepire l’arte e il successo, ma anche il peso che l’arte ha o dovrebbe avere sul nostro quotidiano. Dietro a questo manifesto illustrato (dal lettering ai disegni a corredo) ci sono motivazioni molto personali tanto quanto universali. C’è infatti un “Credo”, una parte iniziale costellata di “I believe…” e “I do not believe…”, che suona proprio come una rituale professione di fede verso il talento e le idee, il loro diritto di esistere e di entrare in conflitto, la loro capacità di sopravvivere alla pessima condotta di chi crede di potersene appropriare. Ma quel che pare un elenco di consigli per motivarci è anche una reazione scaturita dai due autori agli attacchi terroristici che nel 2015 hanno sconvolto in particolare la Francia, laddove le idee (quelle disegnate) si sono rivelate così pesanti da scatenare una strage come quella alla redazione di Charlie Hebdo. Ecco che allora è un dovere ribadire anche le “banalità”, con forza e con cognizione di causa e ricordarsi che l’arte è una forma di comunicazione, di ribellione, di affermazione di identità, di lotta.
Un capitolo intero è perciò dedicato all’importanza delle biblioteche e di chi ci lavora, di chiunque dia un contributo alla divulgazione della letteratura per renderla parte integrante della quotidianità dei giovanissimi. Neil Gaiman confessa di essere del tutto parziale in questa apologia della lettura, non solo perché è uno scrittore (e l’esistenza dei lettori gli permette di lavorare), ma soprattutto perché è in primo luogo un lettore lui stesso.
Anche nel descrivere la sua vita professionale costellata di successi ci spiazza dicendo che la sua non è proprio una carriera, è più una lista di obiettivi molto concreti depennati volta dopo volta e compilata anno dopo anno. Sorrido pensando che faccio così anche io (1. fare un libro coi risguardi, fatto. 2. fare un libro con copertina cartonata, fatto. 3…) e spero che mi porti bene anche se non scriverò mai “The Sandman”. Quest’ultima parte è intitolata “Make good art”, più che un consiglio, un’investitura: queste parole vengono ribadite con forza, circostanza dopo circostanza: “Make good art, I’m serious”. E io davvero, Neil, non me la sento di contraddirti, tu che parli dei problemi del fallimento ma anche di quelli del successo (che su quelli non ti prepara mai abbastanza nessuno), tu che dici che essere artisti è lanciare milioni di messaggi in bottiglia nel mare consapevoli che alcuni non torneranno mai ma anche che ad alcuni dovrai dire di no se la corrente inizierà a esserti favorevole.
Io ci voglio proprio credere che con la mia immaginazione un po’ di mondo lo posso cambiare o che almeno posso provare a costruire una sedia che stia in piedi. In che senso, dite? Lascio che lo scopriate voi nel capitolo del libro che si chiama appunto “Making chair” ricordandovi che, in fondo, qui vi avevo già convinti del fatto che progettare bene è come costruire una staccionata.