
Affiche e Ceccoli
Il caso affiche di Cremona è emblematico e quanto mai interessante.
Quello che si sta consumando intorno all’esposizione dei lavori di Nicoletta Ceccoli organizzato da Tapirulan in questi giorni è un calderone di concetti che spesso si intrecciano tra loro.
Qui vi sono tutti gli ingredienti:
- Un luogo atipico dell’arte
- Un’artista fuori dal comune
- L’ignoranza del fruitore
- L’inutile strumentalizzazione
Se ne potrebbe parlare per ore perché ogni punto sopra citato mi riporta alle tantissime ore di arte durante gli anni dell’accademia dove questi argomenti erano all’ordine del giorno.
Cerco di fare un minimo di chiarezza sperando che il mettere ordine possa aiutare a districare questa matassa per un dialogo sano e costruttivo.
Parto dal punto più semplice: Nicoletta Ceccoli.
Uno dei tanti motivi che crea confusione in questa faccenda è l’idea stereotipata dell’illustratore che disegna cose solo per bambini. Nicoletta Ceccoli ovviamente è molto di più di questo genere di didascalia ma è anche vero che per gli ignari passanti Nicoletta Ceccoli potrebbe essere un nome come un altro.
Questo essere “illustratore” e quindi “per bambini” porta ad un corto circuito logico per chi non mastica il nostro mestiere e le correnti artistiche attuali.
Nicoletta è una delle tante e più che eccellenti esponenti del Surrealismo Pop, corrente che da diversi anni ormai circola in tutto il mondo ma che difficilmente trova spazio in Italia o nelle vetuste sale museali.
Come spesso accade, non essere in un museo (cosa che spesso accade più ai morti che ai vivi) porta immancabilmente ad un giudizio spietato riducendo drasticamente i meriti dell’artista chiunque egli sia.
Altri punti dolenti: quando si parla di immagini possiamo disquisire della tecnica, del soggetto, del formato o del supporto ma bisogna anche considerare il luogo e il fruitore.
Questi ultimi due sono spesso lasciati nel dimenticatoio o dati per scontato eppure sono questi che hanno creato gran parte del caos a Cremona.
Il luogo è il contenitore, la residenza (momentanea oppure no) dell’oggetto/immagine. Inserire l’oggetto/immagine in un luogo piuttosto che in un altro porta lo spettatore ad avere pensieri, emozioni e punti di vista diversi.
Pensiamo alla Gioconda al Louvre e al dito medio di Cattelan a Piazza Affari.
Nel primo caso noi spettatori siamo a nostro agio nel vedere la Gioconda nelle sale del Louvre che sono pensate per accogliere l’arte; sono una causa-effetto logica e lineare. Di contro il dito medio di Cattelan ci fa quantomeno sorridere. Il dito è provocazione verso un luogo che è per molti sconosciuto o di difficile utilizzo. L’arte irrompe nei luoghi poco consoni creando osservazioni e quesiti che prima erano assenti.
Il fruitore invece è un elemento più difficile da catalogare anche se il luogo a volte ne diventa un filtro.
In un museo ad esempio, il fruitore è consapevole perché decide di sua iniziativa di spendere tempo (e a volte denari) per visitare quella mostra. In questi casi il fruitore è conscio di ciò che potrebbe trovarsi davanti agli occhi.
Il fruitore il più delle volte è passivo. Osservando si fa travolgere dall’opera coinvolgendo i suoi sensi. A volte può essere un tripudio piacevole, altre volte ne è disgustato, altre ancora vi è solo perplessità.
Queste sensazioni ovviamente cambiano a seconda della preparazione del fruitore.
Chi non è rimasto almeno una volta incerto, per non dire altro, davanti ad un’opera di arte contemporanea che non si conosceva?
Quante volte invece ci siamo incantati tra le cromie di Manet o Rothko?
Noi illustratori siamo estasiati dai lavori di Nicoletta Ceccoli e accettiamo subito il suo mondo accogliendolo (passivamente) con piacere.
Ma chi non ha questo background come reagisce?
Quanta catarsi nasce in chi queste atmosfere non le conosce?
E se non bastasse a rendere tutto ancora più caotico si aggiunge un’altra domanda:
quando invece l’arte esce dal museo e invade i luoghi pubblici cosa succede?
Beh è ciò che è accaduto a Cremona.
Le immagini di Nicolette Ceccoli invadendo le strade hanno portato immancabilmente ad una serie di giudizi e commenti.
In parte è ciò che un’immagine dovrebbe fare: svegliare le coscienze e porre delle domande, a volte anche senza risposta. Una immagine che non suscita nulla non vale la pena di essere ricordata.
Qui ovviamente la discussione si fa torbida perchè entrano in campo cose che con l’immagine, la sua lettura e la fruizione c’entrano poco (leggasi politica). Eviterò con cura quindi quell’aspetto.
Mi preme invece far notare che il luogo di questa esposizione è ovviamente una provocazione. In genere quegli spazi nascono per altro, nascono per indurre il fruitore, ora passante, a comprare, votare, spendere e solo raramente ad indugiare.
L’affiche è uno spazio transitorio, ma quando si decide di farlo diventare un momento di sosta estetica (piacevole oppure no non fa differenza) ecco che ci si dovrebbero porre diverse domande:
“Quali immagini sono consone?”
“E’ corretto che ci sia ogni genere di immagine?”
“Quale dovrebbe essere un approccio corretto da parte del fruitore?”
“E’ giusto porsi queste domande?”
“Gli organizzatori dovrebbero informare i fruitori oppure no?”
Di tutte queste domande esistono sicuramente delle risposte e forse da quelle nascerebbero altre domande.
In rete e sui social ci sono ottimi autori che ne parlano come Anna Castagnoli che ne sà molto più di me.
Vi invito a leggere il suo post.
Personalmente delle becere strumentalizzazioni politiche forti come una piuma, mi preoccupo poco. Auspico invece di sentire un bambino porre domande anche scomode al nonno o ai genitori (e della risposta non me ne curo affatto) perché un fruitore che si pone domande sarà un individuo consapevole.